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martedì 12 luglio 2011

La nota del mattino 12 luglio 2011

PD
Partito Democratico

1. RIPRENDE L’ATTACCO. LA BORSA RIAPRE IN CADUTA. PD, UDC E IDV PRESENTANO POCHI EMENDAMENTI FONDAMENTAU E DANNO CERTEZZE SUI TEMPI. Il. GOVERNO CHE HA PORTATO L’ITALIA CONTRO UN MURO RESTA SENZA PAROLE.

E’ già ripreso questa mattina l’attacco speculativo contro l’Italia. La Borsa è in caduta. Ancora pericoli per i titoli di Stato.  Il governo, che per tre anni ha raccontato che tutto andava bene e non c’erano problemi, in queste ore è senza parole. Il presidente del Consiglio condannato a risarcire un altro imprenditore per avergli sfilato l’impresa grazie alla corruzione di un giudice non ha la credibilità per parlare, né ha desiderio di rivelare che ha raccontato balle fino ad oggi. Il ministro dell’economia ha il principale collaboratore sottoposto a richiesta di arresto per tangenti, dossier, vendita di nomine, spiate su provvedimenti giudiziari. E lui stesso è sfiorato da sospetti. Il ministro dell’agricoltura è sottoposto a procedimento perché accusato di eccessiva vicinanza a cosa nostra. Senza contare che la manovra economica preparata dal governo, con la stupida furbizia di rinviare al 2013e e 2014 il peso maggiore del risanamento, appare inadeguata e iniqua. La situazione è di una gravità senza precedenti. Tutti gli italiani rischiano di pagare un prezzo pesantissimo. Per questo Il Pd, d’accordo con l’Udc e l’ldv, ha deciso di presentare pochi ma fondamentali emendamenti per cambiare il segno della manovra, lasciando invariati i saldi e dando assoluta certezza su tempi stretti del dibattito. Come ha detto ieri Bersani questo significa che il Pd porterà in Parlamento il proprio contribuito di idee e proposte, ma non per questo considera la manovra e l’operato del governo in modo positivo. Il Pd voterà contro.
Da l’Unità. Intervista del presidente del Pd, Rosy Bindi. “Certo, il voto anticipato resta la «strada maestra», il governo «responsabile di questa grave vulnerabilità del Paese» dovrebbe dimettersi «un attimo dopo aver approvato la manovra». Ma se in questo momento delicatissimo, il Presidente della Repubblica dovesse chiedere senso di responsabilità «noi del Pd saremmo pronti anche a sostenere un esecutivo tecnico, di alto profilo, scevro da qualunque accusa di ribaltone». Rosy Bindi, presidente dei democratici, rilancia il governo ((di responsabilità nazionale)) ma ad un patto: che non ci siano gli attuali ministri. Nessuno. Napolitano un primo appello Io ha già fatto: coesione nazionale in vista dell’approvazione della manovra. Il Pd che farà? «Noi siamo disponibili, come è sempre stato, ad accogliere l’invito del Presidente della Repubblica, mosso dalFinteresse nazionale del Paese. Faremo la nostra parte anche questa volta, ma è chiaro che questo governo deve riconoscere le sue responsabilità. Se siamo in questa situazione, davvero preoccupante, è per responsabilità del presidente del Consiglio, del ministro deIl’Economia, di tutto il governo e di tutta la maggioranza». Alla fine la crisi c’era e l’Italia oggi rischia grosso. ((In questi anni sono stati sordi a qualunque proposta che abbiamo avanzato, a partire dalle critiche che abiamo mosso in maniera non pregiudiziale sugli interventi economici. Critiche mosse con il supporto degli osservatori internazionali, della Banca d’italia e dei centri d’osservazione economica internazionale. La loro risposta è stata quella di votare ogni volta manovre sbagliate coni voto di fiducia. A questo si aggiunge il tracollo finale della credibilità del governo di questi giorni: se il presidente del Consiglio ha smesso da tempo di essere un interlocutore internazionale - sia per le sue vicende personali, sia per la sua incapacità a governare il Paese - adesso è finita anche l’era Tremonti. Fino a una settimana fa sembrava che potesse essere il garante in Europa e sulla scena internazionale, oggi è evidente a tutti la sua perdita di credibilità politica e morale)). Si riferisce anche alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Milanese? «Mi riferisco ai fatti che Io vedono in qualche modo coinvolto e sui quali non è riuscito a dire parole nette e chiare e mi riferisco alle vicende politiche. Se prima dava l’immagine del ministro che riusciva a tenere insieme tutta la maggioranza, rappresentando anche la Lega, è evidente che oggi non è più così. Dopo l’Eurogruppo ci ha fatto da fideiussore la Germania dicendo che il nostro Paese non rischia: Tremonti è uscito da contro senza dire una parola». Voi del Pd avete definito questa manovra irricevibile. Come vi comporterete in Aula dopo l’appello del Colle? «Noi faremo le nostre proposte, con un raccordo con tutte le altre opposizioni. Da una parte l’incontro Bersani-Casini, dall’altra il senso di responsabilità dimostrata da Di Pietro, sono basi importanti per un coordinamento sulle proposte. Spetterà alla maggioranza decidere se accoglierle». Voterete la manovra? «Sarebbe una contraddizione votarla nel momento in cui diciamo con convinzione che la responsabilità di quello che sta accadendo è tutta sulle spalle della maggioranza. Non faremo ostruzionismo, presenteremo le nostre proposte, se verranno accolte valuteremo il comportamento, ma è evidente che la maggioranza non potrà recepire emendamenti che ne stravolgono l’impianto generale. Quindi voteremo contro». Una volta approvata la manovra cosa succede? «Noi chiediamo sin da ora che una volta votata la manovra si dimettano». Per andare al voto?per noi quella resta la strada maestra per passare a un governo politico stabile. Ma se le condizioni , soprattutto quelle dei mercati, non lo consentono e il Presidente della Repubblica dovesse chiamarci a un governo della responsabilità, penso che il Pd non possa sottrarsi». Un governo tecnico? «Se la situazione economica è così disastrosa da non poterci permettere tre mesi di campagna elettorale potremmo essere pronti a sostenere un governo di responsabilità nazionale. Ma a tre condizioni: che a guidano sia una personalità che gode di prestigio internazionale; che non ne faccia parte alcun ministro di questo esecutivo e che nessuno possa additano come il governo del ribaltone. Dovrebbe avere l’appoggio delle forze politiche responsabili ma i partiti dovrebbero stame fuori». Pensa ad un esecutivo guidato da Mario Monti? «Monti è un nome autorevolissimo, ma la decisione spetta al Quirinale)) Il nuovo governo dovrebbe avere tra gli obiettivi la legge elettorale. Quale? «Una legge che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari. Noi del Pd partiremo dalla nostra proposta, maggioritario con doppio turno, decisione che dovrà essere sancita nella Direzione del 19 luglio. Ma è evidente che se dovesse restare in piedi il referendum Passigli, allora io sono tra coloro che saluta con favore l’iniziativa di chi oggi ha depositato i quesiti per il ritorno al Mattarellum)

 
2. COLPIRE L’ITALIA ANCHE PER ATTACCARE L’EURO. 
Da La Repubblica. Articolo di Maurizio Ricci. “Adesso la battaglia dell’euro inizia dawero. Edward Altman, analista a Classis Capital, Io aveva previsto già un mese fa: «La battaglia finale
Per la sopravvivenza dell’euro sarà combattuta, non in Spagna, ma sulle spiagge pittoresche e fra le cattedrali d’Italia». Se molti pensano che una bancarotta della Grecia possa essere alla fine assorbita, questo non vale per l’Italia. L’economia più grande dell’area euro, dopo Germania e Francia, è troppo grossa per essere lasciata fallire, secondo la formula in uso dalla crisi americana del 2008. Ma è anche troppo grande per essere salvata, Il debito pubblico greco ammonta a 350 miliardi, quello italiano a 1.600 miliardi. La Grecia paga, in interessi su questo debito, il 6,7% del suo prodotto interno lordo, ma ‘Italia il 4,8, più anche del Portogallo. Nella comunità finanziaria, c’è già chi, come Michael Riddell di M&G lnvestments, guarda al di là della battaglia e pronostica «una carneficina». In realtà, è un risultato tutt’altro che scontato. Lo Stesso Altman sottolinea che «l’esito della battaglia non è chiaro». Nonostante l’alto debito e il peso degli interessi, i fondamentali dell’economia italiana, al di là delle incertezze politiche, restano migliori di quelli degli altri Paesi europei in crisi. Al netto degli interessi, al contrario della Grecia, il bilancio è in pareggio, due terzi del debito pubblico sono nelle mani di banche e privati italiani, esiste una vasta base industriale da rilanciare con le esportazioni. Sull’altro piatto della bilancia, c’è una crescita economica anemica: poiché, se il PiI aumenta, ogni anno, meno degli interessi, il rapporto debito /Pil aumenta, anziché diminuire, ai ritmi attuali di crescita economica la sua riduzione è una chimera: Barclays Capital proietta un rapporto debito/Pii uguale all’attuale 120% ancora nel 2050. Questa doppia lettura della situazione italiana spiega perché la speculazione finanziaria abbia atteso così a lungo, prima di attaccare l’Italia. Per la finanza d’assalto, un crollo dell’euro e l’isterica volatilità che ne deriverebbe rappresentano una succosa opportunità. Ma, proprio perché c’è in ballo F euro, l’Europa si impegnerebbe a difenderlo e gli Stati Uniti si schiererebbero al suo fianco: un’analisi dei dati, compiuta da M&G, mostra che le banche europee che hanno sottoscritto il debito italiano, si sono assicurate contro un default, comprando Cds (credit default swaps) soprattutto da banche americane. In caso di bancarotta italiana, le banche americane dovrebbero sborsare fiumi di denaro. Tutto questo, peraltro, era largamente noto. Cosa è cambiato, allora, all’inizio di giugno, per convincere gli hedge funds americani ad intervenire massicciamente sul debito pubblico italiano? Secondo il Financial Times, da circa un mese gli hedge funds hanno cominciato a scommettere pesantemente contro il debito italiano, piazzando cospicue vendite allo scoperto di Btp. Dietro questa strategia, non c’è un deterioramento specifico della finanza pubblica italiana. In larga misura, l’occasione accanto alle incertezze sulla manovra del governo sarebbe data dal diverso atteggiamento delle banche italiane verso il debito pubblico nazionale. A lungo, spiegano gli analisti di Citigroup, hanno fatto incetta di Btp, finanziandosi presso la Banca centrale europea. La differenza fra interessi pagati e percepiti assicurava buoni profitti. Secondo alcune stime, le banche italiane sarebbero arrivate a detenere Btp fino al 150% del loro capitale più riserve. Negli ultimi mesi questa strategia sarebbe diventata, però, via via meno proficua, mentre contemporaneamente, sì acuivano i problemi di finanziamento delle stesse banche, visto che il suo costo tende a seguire quello del debito pubblico. Questo, sottolineano a Citigroup, non significa che le banche italiane stiano vendendo Btp. Ne comprano tuttavia meno, scaricando sui riluttanti investitori stranieri il compito di colmare il divario che si crea, al momento dell’offerta di titoli pubblici. La speculazione si sarebbe lanciata sull’aspettativa dì questo calo di domanda, raddoppiando l’offensiva con l’attacco in Borsa sulle banche stesse. E adesso? Dopo il collasso di ieri, il rendimento sui Btp decennali risulta schizzato dal 4,62 al 5,68% nel giro di sole cinque settimane, E, nel mondo della finanza, sì punta il dito su una sorta di regola del 7%. Gary Jenkins di Evolution Securities la spiega così: nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo, quando i rendimenti hanno superato il 7%, il passo successivo è stato il salvataggio. L’avvicinamento a questa soglia, aggiunge Jenkins, è sempre più rapido. In media, quei tre paesi sono rimasti sopra il 5,5% per 43 giorni di contrattazioni, prima di sfondare quota 6. Per 24 giorni sopra il 6% prima di arrivare aI 6,50. E dopo 15 giorni hanno sfondato i17 per cento”.

3. USA, POCHI GIORNI PER EVITARE IL FALLIMENTO.
Da La Repubblica
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“Il presidente ha una (<buona notizia» per l’America: democratici e repubblicani, dice Barack Obama, sono d’accordo sul fatto che il tetto del debito vada alzato. E quando gli chiedono se crede di farcela nei 10 giorni che restano, dice secco: «Dobbiamo». Anche il capo dell’opposizione ha una buona notizia: confermo, dice John Boehner, il tetto va rialzato. Ma due buone notizie non costituiscono l’annuncio che tutto il mondo aspetta: da Wall Street che non reagisce, e anzi va giù per la paura della crisi in Europa, all’Fmi che parla di «rischio shock». No, il compromesso ancora non c’è. E anzi sembra lontano. «Se non ora quando?» si chiede Obama lanciando l’allarme dopo che le trattative per il «grande accordo» sono saltate tra sabato e domenica. Se non si agisce presto, se non si tocca il tetto e soprattutto non si mette mano a quell’ampio programma bipartisan per tagliare di almeno 4mila miliardi il debito da l4mila miliardi e passa, «si rischia di innescare una nuova recessione». Ma ci sono delle resistenze, ammette con un eufemismo: anche dalla mia parte, dice, rivelando che i democratici non vogliono mettere mano al welfare, ai tagli che dovranno essere fatti alla sanità, alla difesa. E ci sono soprattutto «forti resistenze» dei repubblicani, che non vogliono sentire parlare di tasse (in quel pacchetto da 4 miliardi, dicono, 1.000 sarebbero di tasse in più). Eppure, continua il presidente, per arrivare a un compromesso dobbiamo rinunciare alle reciproche «vacche sacre». Per questo, dice, continueremo a incontrarci ogni giorno, anche la prossima settimana, a oltranza. Di più. Portatemi le vostre idee, dice, portatemi qualcosa di concreto. Parla ancora ai repubblicani: avevate detto che volevate i tagli, eccoli, ci sono, lavoriamoci. Di sicuro, continua, non accetterà rinvii: non metterà la firma ad accordi che possano innalzare il tetto del debito «per 30, 60, 90 giorni». Quell’accordino insomma che riporterebbe tutto il dibattito all’anno prossimo: sotto elezioni. Riuscirà la trattativa a partorire quelle “grandi cose’ che Barack aveva chiesto al Congresso e anche Boehner sembrava aver promesso? Il presidente ringrazia lo Speaker ma sa, e lo dice, che i repubblicani sono divisi. E questo, riconosce, «è un altro problema». Boehner pensava di ritagliarsi accanto al presidente il ruolo di salvatore della patria, si vedeva già incoronato come l’uomo della responsabilità, quello che aveva portato Obama a spingere i democratici a tagliare il welfare e sistemare il deficit. Ma dove vai, gli hanno detto i capoccia di partito, primo tra tutti quel numero due alla Camera, Eric Cantor, che spinto dai Tea Party ora sembra tentato al sorpasso. Così Boehner frena: «Il popolo americano non accetterà, e la Camera non voterà, un accordo che alzi le tasse su chi crea lavoro». Le tasse? Per chi crea lavoro? Gli aumenti di cui parlano sarebbero in realtà la fine di quei tagli fiscali regalati da George W. Bush. Con i quali i ricchi sono diventati sempre più ricchi: «Gli stipendi dei manager sono aumentali del 23 per cento» dice Obama «quelli medi dallo O all’i per cento». E senza certo creare lavoro: visto che la disoccupazione è anzi salita al 9,2 percento. E poi, svela, su quegli sgravi cominceremmo a ragionare nel 2013, non prima. Niente. lI 2 agosto, il «giorno X» in cui la più grande potenza del mondo rischia di entrare in default, si avvicina. E la vera «buona notizia», finora, è il cambio di tono. Quel presidente che appena due settimane fa aveva pesantemente accusato i repubblicani con cui voleva l’accordo, apparendo così spavaldo da essere accusato di essersi «comportato da str...» dal caporedattore di Time - per questo sospeso dopo il commento tv - adesso apre al dialogo, fa i complimenti a Boehner, dice che lui stesso sta litigando con Nancy Pelosi e i democratici che gli hanno già detto che non si tocca la sanità, Dice:
«lo sono pronto a prendermi le critiche dei miei». Oltre a quelle dei repubblicani. Che col coltello dalla parte del manico staranno pensando anche loro:se non ora, quando lo colpiamo più?”


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