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mercoledì 30 marzo 2011

IL PD TAGLIA I COSTI DELLA POLITICA...IL GOVERNO LI AUMENTA IN POCHI GIORNI DI 2 MILIONI DI EURO PER LA NOMINA DEI NUOVI SOTTOSEGRETARI...



Tagli ai costi della politica:
le azioni concrete del Governo Prodi, le proposte del Disegno di Legge della Sen. Pignedoli


Pur non condividendo la campagna mediatica "all'ingrosso" contro la politica che ritengo per la genericità devastante per la nostra democrazia, sono nello stesso tempo fermamente convinta che occorra coerenza, rigore nell'attuare ciò che si predica, la prima condizione per avere credibilità presso i cittadini.
Per questo senza grandi clamori, dal mio primo mandato, con un gruppo di colleghi del PD al Senato abbiamo lavorato perchè venissero rimossi privilegi senza motivo per i parlamentari.
Ovvero "iniziamo da noi" e risultati ne sono arrivati. Proprio con il governo Prodi le Presidenze di Camera e Senato hanno rivisto le regole delle pensioni dei parlamentari (famosi vitalizi) aumentando il limite a 65 anni d'età, limitando i benefici, mettendo un tetto massimo al vitalizio in base ai mandati.
Dopo aver condiviso la proposta di legge della collega Soliani, ho ritenuto importante depositare un ulteriore disegno di legge basato su 3 articoli e 4 punti che ritengo indispensabili: - riduzione dell'indennità, - riduzione della diaria, - trasparenza degli atti per il funzionamento di Camera e Senato, - eliminazione rimborso viaggi per gli ex parlamentari.
Art.1 La riduzione di indennità equiparata al 75% del trattamento complessivo dei magistrati con l'obiettivo di commisurarla all'indennità media dei parlamentari dei Paesi dell'Unione Europea. Si prevede la possibilità di determinare le quote tenendo conto delle fasi congiunturali di crisi economica che possono richiedere interventi eccezionali di riduzione della spesa pubblica.  
Art.2 La diaria è legata alla presenza (sia in aula che in commissione con almeno il 70% delle votazioni effettuate) e viene ridotta a una quota non superiore all'80% dell'indennità di missione prevista per i magistrati.
Inoltre una riduzione del 25% del rimborso spese di soggiorno rigorosamente documentate. Eliminato ogni rimborso agli ex parlamentari.
L'Art. 3 propone la massima trasparenza per le spese di funzionamento di Camera e Senato rendendo obbligatorio e immediato la pubblicazione sui siti ufficiali delle due Camere gli atti riferiti al loro funzionamento.
Questo perchè le delibere dei questori che decidono i costi dei servizi per i parlamentari, i mezzi, il personale, siano trasparenti e sfuggano ad ogni tipo di autoreferenzialità, rimuovano inefficienze e privilegi ingiustificati.
Stiamo poi lavorando come PD ad una proposta di riordino e semplificazione degli enti vigilati dal Ministero dell'Agricoltura, partendo da un'indagine conoscitiva che abbiamo richiesto. E questa sarà una prossima puntata.

"VIOLENZA PARLAMENTARE",


Da:  | Creato il: 30/mar/2011

Chiedere che la Camera voti oggi sul processo breve è una "doppia violenza", che serve solo a "fermare il processo Mills" che riguarda Silvio Berlusconi e la conseguenza sarà che chiunque, anche uno stupratore, se incensurato potrà godere della prescrizione breve. Lo ha detto il capogruppo Pd alla Camera Dario Franceschini, intervenendo in Aula dopo che il Pdl ha chiesto l'inversione dell'ordine dei lavori. "La proposta che ha fatto adesso il Pdl, sulla quale esprimiamo parere contrario, è un'altra pagina inedita di violenza parlamentare e di abuso della maggioranza. Cerco sempre di misurare le parole, le ho scelte perché qui si sta consumando una doppia violenza".
continua..........


venerdì 25 marzo 2011

FEDERALISMO REGIONALE.

25 marzo 2011


FEDERALISMO REGIONALE, ERRANI E BERSANI VINCONO LA PARTITA. NIENTE AUMENTI DI TASSE. MA ADESSO BISOGNA RIVEDERE TUTTO.


Dopo una trattativa a oltranza proseguita fino all`ultimo minuto, il Partito democratico ha consentito con la propria astensione il passaggio nella commissione bicamerale del decreto sul fisco regionale. Il decreto è passato con 15 voti favorevoli, 10 astenuti (Pd) e 5 contrari (Terzo Polo e Idv). A sbloccare la situazione, sono state prima l`intesa raggiunta dalla Conferenza delle Regioni, guidata da Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna, sul reintegro dei fondi per il trasporto pubblico locale, poi il sì della maggioranza alla clausola di salvaguardia proposta dal Pd, e cioè il blocco delle addizionali Irpef al tetto dello 0,9 per cento (quello attuale) fino al 2013, e difesa delle fasce di reddito più basse, che non potranno pagare più dello 0,5 per cento in più. Contemporaneamente il governo dovrà  rifondere le Regioni che rispettano il patto di stabilità dei tagli applicati nella manovra estiva. Se nel 2013 questo non sarà avvenuto, ci sarà un tavolo Stato-Regioni per decidere sull`attuazione del decreto. Insomma, le norme del decreto sono «congelate» fino a quando i tagli non verranno ripristinati. Il segretario del Pd, Per Pier Luigi Bersani: «Oggi è andata bene, ma l`albero è storto. Resta il problema del decreto sul  Federalismo municipale. Bisognerà raddrizzarlo in tempo, perché altrimenti il sistema salta per incoerenza. È il caso dell`irpef. Sarebbe bene dunque che il governo ora si fermasse e avviasse una riflessione più ampia». Francesco Boccia (Pd), relatore di minoranza al decreto: «Questa vicenda dimostra che
quando si ascolta la linea del Pd il risultato è che non si fanno pasticci e non si aumenta la pressione fiscale. Maggioranza e governo dovranno rispondere ora ai cittadini che si vedranno
recapitati a casa i bollettini delle tasse comunali più alte, mentre questo non accadrà con le Regioni, sarà un boomerang, per questo dovrebbero tornare indietro sul decreto sul fisco municipale». Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni: «Quello ottenuto dalle Regioni, dopo un impegno lungo e convinto, rappresenta un risultato significativo. Per noi c`era un accordo su cui avevamo dato un giudizio positivo nel
dicembre scorso e dopo questa lunga e difficile discussione con il Governo confermiamo la nostra posizione».

mercoledì 23 marzo 2011

LE RAGAZZE E I RAGAZZI DIVERSAMENTE ABILI SONO STATI ESCLUSI DALLA COMPETIZIONE CAMPESTRE.



                                                         





               Rio Saliceto 23.03.2011


PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO ESISTONO I GIOCHI DELLA GIOVENTU', LE RAGAZZE E I RAGAZZI DIVERSAMENTE ABILI SONO STATI ESCLUSI DALLA MANIFESTAZIONE SPORTIVA, NELLA SEZIONE CORSA CAMPESTRE.

I fatti in breve:

·          Con Nota prot. n. 1741 del 22/02/2011 il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR) ha comunicato che le Finali Nazionali dei Giochi Sportivi Studenteschi I e II grado, a.s. 2010/11, della disciplina Corsa Campestre si svolgeranno il giorno 20 marzo 2011 presso la località Nove (VI). Alla Nota mancano gli allegati necessari (Modello COR e Modello Iscrizione) per permettere agli studenti disabili di accedere alla finale.

·          DI FATTO GLI STUDENTI DISABILI SONO ESCLUSI DALLA FINALE DELLA CORSA CAMPESTRE PUR AVENDO PRESO PARTE, E VINTO LE SELEZIONI NAZIONALI.

·          In data 14 marzo la deputata PD Manuela Ghizzoni, insieme ad altre colleghe, presenta l'interrogazione rivolta alla Ministra dell'Istruzione Maria Stella Gelmini in relazione al grave fatto discriminatorio.

·          Il giorno dopo, 15 marzo, la notizia è ripresa solo da L'Unità. Tutti gli altri giornali tacciono.

·          Il 16 marzo sul sito del MIUR compare il comunicato di disdetta della notizia comparsa su L'Unità: non c'è alcun riferimento agli allegati mancanti che di fatto impediscono ai ragazzi disabili di partecipare alla finale di corsa campestre, si scarica ogni responsabilità sul CONI e si sostiene che le opposizioni stiano strumentalizzando a fini politici la questione.

·          Il 20 marzo scorso si sono tenute le finali della Corsa Campestre e i ragazzi disabili che si erano qualificati ne sono stati esclusi.

·          A questo quadro, già venato di cinismo e ipocrisia, si aggiungano le dichiarazioni rilasciate dalla Ministra alla trasmissione di Fazio “Che tempo che fa” del 13 marzo, in cui la titolare del Ministero ha dichiarato testualmente: “[Insegnanti di sostegno] Il problema è la loro distribuzione e il fatto che in alcune zone del Paese ne usufruiscono anche alunni che non ne avrebbero bisogno”. E qui i casi sono due: o la Ministra non sa di cosa sta parlando o scientemente muove accuse infondate, dunque diffama i genitori dei ragazzi disabili. Si, perchè per ottenere un sostegno per una disabilità occorre per prima cosa prendere atto delle difficoltà dei propri figli e accettarle. Poi bisogna sottoporre la ragazza o il ragazzo a un calvario di test su test per verificare il livello di disabilità. Infine, una volta accertata la disabilità, questa viene certificata e periodicamente riesaminata e rivalutata. La Ministra forse ignora il fatto che molti genitori, pur di non sottoporre i propri figli a tali e tanti stress, preferiscano non fare richiesta di sostegno, pur avendone i propri figli il pieno diritto.

·          E ALLORA MINISTRA? A CHE GIOCO GIOCHIAMO?

mercoledì 16 marzo 2011

Massimo Scalia: «L'industria nucleare è finita»



Diego Barsotti

LIVORNO. Di fronte alla tragedia dei terremoti e degli tsunami, la precarietà umana si palesa in tutta la sua drammaticità, di fronte alla tragedia nucleare a palesarsi è invece la follia umana perché un dato che accomuna tutti i piccoli incidenti nucleari (in un altro articolo evidenziamo 130 guasti in 10 anni nelle sole 5 centrali svizzere, vedi link  fondo pagina) così come le grandi tragedie (e oggi Fukushima ha superato nella scala delle gravità Three Mile Island raggiungendo il grado 6 della scala Ines, dietro solo a Chernobyl, grado 7, il massimo) è questo riflesso condizionato di nascondere la reale gravità delle cose, in un vergognoso rimpallo di responsabilità che oggi ha fatto puntare l'indice del ministro giapponese nei confronti della Tepco, società che gestisce la centrale.
Continua ……… 

domenica 13 marzo 2011

UE: SARUBBI (PD), PARLAMENTO CALENDARIZZI PROPOSTA ANTI-SPECULAZIONI


Scritto da Gozi Sandro

Mercoledì 09 Marzo 2011 11:53 - 
(9Colonne) Roma, 8 mar - "Il Parlamento europeo ha approvato oggi a larga maggioranza una risoluzione per l'introduzione di una tassazione sulle transazioni finanziarie. L'Italia, per una volta, non è il fanalino di coda nel dibattito internazionale. Alla Camera giace infatti una analoga proposta di legge bipartisan: venga immediatamente calendarizzata". E' quanto chiede in una nota Andrea Sarubbi, deputato del Pd, firmatario della pdl 3740 insieme a Zacchera (Pdl), Pezzotta (Udc), Evangelisti (Idv), Angela Napoli (Fli), Barbi(Pd), Bossa (Pd), Di Stanislao (Idv), Renato Farina (Pdl), Galletti (Udc),Gasbarra (Pd), Gozi (Pd), Mogherini (Pd), Murer (Pd), Pedoto (Pd), Touadi(Pd). "Si tratta di introdurre una tassazione ponderata e minimale dello 0,05%, che si configura quindi come una sorta di assicurazione contro la speculazione a favore dei piccoli risparmiatori. Se applicata da un congruo numero di Stati, offre tre opportunità: stabilizzare in maniera permanente i mercati finanziari, fornire prezioso carburante per uscire dalla crisi e contribuire a regolare gli squilibri economici mondiali rendendo possibile il perseguimento degli Obiettivi del Millennio anche all'Italia, attualmente triste fanalino di coda in questa fondamentale scommessa internazionale".






Pericolosi Eversori

invece


http://concita.blog.unita.it/

Eccola, la nostra strada. L’avete vista srotolarsi ieri per le vie del centro 
delle vostre città, è entrata a Roma in piazza del Popolo sostenuta 
da migliaia di braccia, avanzava su migliaia di gambe. Una bandiera 
lunga decine di metri, un pezzo di stoffa a cui stringersi per camminare
insieme........

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venerdì 11 marzo 2011

La Riforma


Giustizia, ecco gli articoli che cancellano la Costituzione

10 marzo 2011 - 14 Commenti »

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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE. I magistrati si “distinguono in giudici e pubblici ministeri” e la legge “assicura la separazione delle carriere”.L’ufficio del pm “è organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”.
leggi tutto........

giovedì 10 marzo 2011

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di Nicola Tranfaglia
Carlo Cattaneo è la grande ombra che campeggia nel nostro paese mentre la Lega Nord, con l’appoggio determinante del PDL e del suo capo carismatico Silvio Berlusconi, sta facendo approvare dal parlamento, a passo di carica, i decreti attuativi della legge istitutiva del federalismo, o meglio del nuovo  titolo V della Costituzione repubblicana, riformato con cinque voti di maggioranza dal centro sinistra alla fine della tredicesima legislatura, nel 2001.
Cattaneo scrisse dopo l’insurrezione di Milano nel 1848 una frase che i leghisti non hanno molto presente in queste settimane ma che vale la pena ricordare: “…non si perviene alla indipendenza,cioè alla vittoria nazionale,se non per la via della libertà.” 
Ma come si fa oggi a parlare di libertà quando siamo uno dei paesi ultimi dell’unione  europea per istruzione media della popolazione, soltanto il sette per cento degli italiani legge almeno un libro all’anno e soprattutto il sistema complessivo  della comunicazione è strangolato dal gigantesco conflitto di interessi del capo del governo che controlla cinque dei sei principali canali televisivi e tutti i maggiori  quotidiani, con l’eccezione de la  Repubblica,  che si rifanno agli imprenditori e agli industriali?
 
Dunque abbiamo l’unità come una costituzione che è tra le più avanzate del vecchio continente ma quest’ultima  è in molta  parte non attuata e la prima appare in pericolo, visto che l’attuale maggioranza parlamentare è guidata di fatto da una forza politica, la Lega Nord di Bossi e Calderoli che prevede ed auspica la secessione delle regioni del  Nord dallo Stato italiano.
La riforma, detta impropriamente federalista (siamo uno stato unitario e regionale con forti autonomie locali, non uno stato federale come vorrebbero farci credere) è fatta in modo da prevedere una maggiore capacità tributaria e impositiva dei comuni, delle province e delle regioni che porteranno (secondo quel che risulta dai primi decreti attuativi già approvati) a un aumento della pressione fiscale, contrariamente alla parola d’ordine che il governo porta avanti a livello centrale.
Ma non è solo, rispetto all’imposizione fiscale, che la riforma della Lega e del PDL non corrisponde all’ispirazione democratica che ha caratterizzato il pensiero di Cattaneo a metà dell’Ottocento e quello del liberale Luigi Einaudi un secolo dopo.
 
Quelle riflessioni ponevano al centro i valori essenziali della costituzione repubblicana che si potevano sintetizzare nella democrazia e nella partecipazione di tutti al governo della cosa pubblica.
 
Qui invece emergono due aspetti negativi che non troviamo mai nei telegiornali come nella stampa cosiddetta indipendente ma che è , a mio avviso, di grande importanza: la disuguaglianza tra il Nord e il Sud che si esaspera perfino rispetto al passato e l’incoraggiamento dell’egoismo privato e di gruppo che caratterizza in questo momento la classe politica di governo.
Ma disuguaglianza ed egoismi privati o di gruppo sono in aperto contrasto con i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale e non possono condurci ad accettare questa frettolosa riforma a colpi di decreto che viene avanti nella fase finale del populismo berlusconiano.  

mercoledì 9 marzo 2011

Una riforma contro la Giustizia

Il progetto

9 marzo 2011 - 
Riforma è una parola abusata e, nel caso delle innovazioni legislative che il governo intende introdurre in tema di giustizia, consapevolmente falsificata. La parola “riforma” convoglia un significato positivo, di tensione verso un assetto preferibile e migliore rispetto all’attuale. Ma, a giudicare dai titoli dei capitoli che dovrebbero comporre la “riforma” governativa – divisione e depotenziamento del CSM, separazione totale delle carriere, sottrazione della polizia giudiziaria al controllo dei PM, limitazione delle intercettazioni, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, cd. processo breve – non si tratta affatto di un progetto mirato ad affrontare utilmente i reali problemi della giustizia, bensì di un coacervo di disposizioni accomunate solo dall’intento di indebolire la giustizia penale e disarticolare quella civile. Intento che evidentemente non appartiene alla collettività dei cittadini italiani, bensì al singolo cittadino imputato che presiede, ancora oggi, il governo.
La madre di tutte le leggi ad personam dunque: non solo perché è del tutto verosimile, sulla base delle numerose esperienze passate, che essa conterrà norme destinate ad essere immediatamente usate nei processi in corso contro Berlusconi, ma altresì perché la sua genesi risponde alla volontà e all’interesse di un uomo solo, deciso ad attaccare l’attuale assetto del sistema della giustizia per  ritorsione a fronte della pendenza dei giudizi penali per reati comuni che tuttora lo vedono imputato.

Del resto, che credibilità può mai avere una “riforma” della giustizia affrettatamente abborracciata da un imputato e dai suoi avvocati, annunciata ancor prima di essere scritta? Il permanere in carica di Berlusconi, imputato di reati comuni in ben quattro processi, crea un insostenibile conflitto istituzionale, che solo con le dimissioni potrebbe essere risolto, separando la guida del governo e del potere legislativo, da un lato, e la condizione di imputato, dall’altro. Al contrario Berlusconi intende usare il suo potere e la maggioranza parlamentare come armi da agitare contro il sistema della giustizia, reo di aver osato perseguire il detentore pro-tempore del potere esecutivo.
E infatti: la divisione e il depotenziamento del CSM costituiscono forse una priorità per i cittadini italiani? O non preferirebbero, questi ultimi, un rafforzamento degli strumenti normativi e organizzativi necessari a combattere la criminalità organizzata e quindi aumentare la loro sicurezza? La limitazione delle intercettazioni o il grottesco sistema di intrusione nella giurisdizione civile di battaglioni di soggetti privati, in sostituzione dei giudici, sono indici della volontà di migliorare la tutela dei diritti e rendere più efficiente la giustizia? O non piuttosto della volontà di limitare gli strumenti di indagine e scompaginare il processo civile, in omaggio a ben precisi interessi di una singola parte?

La “riforma” di Berlusconi contro la giustizia è un esempio lampante dell’inconciliabile contrasto tra i suoi  interessi e  obiettivi  personali e gli interessi e obiettivi della collettività dei cittadini italiani; tra il suo obiettivo di sottrarsi ai suoi accusatori  e l’obiettivo del paese di disporre di un sistema della giustizia più efficiente, uniforme, coerente ed efficace nel combattere la criminalità, nel tutelare i diritti, nel proteggere i cittadini dagli abusi dei potenti.
Se è così, spetta ai cittadini smascherare la falsa “riforma” di Berlusconi e affermare il loro diritto ad una giustizia degna di un paese civile.

giovedì 3 marzo 2011

L'agorà araba di Barbara Spinelli

http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/02/news/spinelli_esodo-13074281/index.html?ref=search




in “la Repubblica” del 2 marzo 2011
Strane e nuove cose stanno accadendo nei paesi arabi. Strane e nuove anche per quel che dicono di noi, democrazie assestate ma incapaci di ricordare come nacquero, di chiedersi se ancora sono all'altezza delle promesse d'origine. Tutti i paesi europei sono sconvolti dai turbini nordafricani, ma è in Italia che lo sgomento s'accoppia a quest'inettitudine, radicale, di interrogare se stessi. È come se ci fossimo abituati, lungo gli anni, a pensare la democrazia in maniera monistica: come se il dominio, anche da noi, fosse di uno solo. Come se una fosse la fonte della sovranità: il popolo elettore. Una la legge: quella del capo. Una l'opinione, anche quando essa coincide con il parere di una parte soltanto (la maggioranza) della collettività. Monismo e pensiero unico cadono a pezzi oltre il Mediterraneo, ma da noi hanno messo radici e vantano trionfi. Tocqueville spiega bene, nei libri sulla Rivoluzione francese, le insidie delle prese della Bastiglia. Il Re fu sostituito da un potere solitario, illimitato, più efficace della Corona.
Quello del Popolo, uno e indivisibile. Un solo valore venne eretto a valore supremo, non negoziabile: quello della Ragione. L'Uno è il fulcro del pensiero monistico, e surrettiziamente ci addestra a pensare contro la democrazia. Fino a due non riusciamo a contare. La stabilità è l'idolo cui sacrifichiamo le primordiali aspirazioni democratiche. Forse è il motivo per cui i governanti europei, e gli italiani in sommo grado, faticano a capire i paesi arabi o l'Iran. Stentano a osservarli, a parlarne: non ne hanno il vocabolario, pur essendo i padri dei dizionari democratici disseppelliti oltre il Mediterraneo anche per noi. Cantileniamo il ritornello della primavera dei popoli, e non sappiamo più quel che accade, quando un popolo s'appropria del proprio destino. Quel che urge
costruire, una volta distrutto il trono. Eppure basta guardare: non si riducono a questo, per ora, le rivoluzioni arabe. Non è un Popolo che si solleva, monolitico grumo di passioni che conquista il potere. Quel che vediamo sono le molteplici aspirazioni, il proliferare e differenziarsi di progetti, il bisogno –inaugurale in democrazia– di un regime regolato in modo da favorire tale differenziazione. Non il dominio del popolo è la meta ma la possibilità della disputa, la concordia  nutrita di discordia.
Due sono le caratteristiche delle rivoluzioni arabe, che possono finir male o bene ma sono comunque esperienze della democrazia ai suoi albori. In primo luogo la scoperta dell'altro, del diverso, non più sotto forma del nemico che si odia o cui ci si assoggetta: dunque la scoperta di sé, di quel che io posso fare per sortire dal marasma. È significativo che la prima scintilla delle rivolte sia stata il suicidio del tunisino Mohamed Bouazizi, giovane venditore ambulante, il 4 gennaio. Il gesto ha annullato d'un colpo anni di suicidi-omicidi terroristi, e per la prima volta l'arabo insorge cominciando da sé. La seconda caratteristica è la scoperta di quanto sia prezioso, perché ci sia democrazia, lo spazio pubblico dove le varie idee s'incrociano, s'oppongono, sfociano in delibera.
Nella Grecia antica si chiamava agorà: la piazza dove i privati s'incontrano, diventano cittadini che accudiscono la cosa pubblica oltre che la propria famiglia. Dove democraticamente decidono. Si decide votando a maggioranza, ma l'esistenza dell'agorà è il preambolo che dà spazio, dignità, legittimità al diverso.
Chi ha seguito su internet i tumulti arabi avrà visto le discussioni sterminate attorno a ogni articolo, appello. In assenza di un'agorà ufficiale (di una res publica), gli arabi scelgono internet e cellulari per parlarsi l'un l'altro come mai prima d'ora, per manifestare contro gli autocrati da cui erano manipolati, non governati. Il primo atto della democrazia è uscire di casa, contrariamente a quel che dice Berlusconi secondo cui la famiglia privata ti insegna tutto, e fuori s'aggirano scuri professori della scuola di Stato che inculcano nozioni devianti. Ha scritto Robert Malley sul Washington Post che Al-Jazeera è divenuta un attore politico di primo piano «perché riflette e articola il sentimento popolare. È diventata il nuovo Nasser. Il leader del mondo arabo è una rete televisiva».
Ma internet e Tv sono gli strumenti, non la stoffa delle democrazie nascenti.
Altrimenti potremmo dire che anche da noi le Tv commerciali sono state levatrici di democrazia. Quel che le reti sociali arabe suscitano è la pluralità di opinioni e notizie, non l'emergere dell'etere privatizzato italiano; non la Tv a circuito chiuso di Milano 2 che s'estende alla nazione ed è emblema del quartiere sbarrato che gli americani chiamano gated community. Al-Jazeera e social network arabi abbattono i recinti, aprono finestre. Le aprono a quel che le nostre democrazie inventarono, quando nacquero anch'esse nel tumulto: la pluralità di idee, la separazione dei poteri, la convinzione che il potere tende a estendersi, se altri poteri non lo fermano e controbilanciano. Le apre infine alla laicità, tappa essenziale delle democrazie d'occidente. Naturalmente è possibile che i Fratelli musulmani, più organizzati dei manifestanti, abbiano il sopravvento. Ma gli ingredienti iniziali delle rivolte non sono in genere confessionali. Può darsi che le cerchie autocratiche si limitino a spostar pedine. Ma gli insorgenti, come si vede in Tunisia, sgamano presto e non tollerano gattopardi che fingono cambiamenti. Un esempio significativo è il documento pubblicato il 24 gennaio sul sito del giornale Yawm al-Sâbi' ("Il settimo giorno"): un manifesto in 22 punti in cui si chiede la separazione tra religione e Stato, la dignità delle donne, il diritto di ogni cittadino (comprese donne, cristiani) di accedere alle massime cariche, tra cui la Presidenza. Il documento è firmato da una ventina di teologi e imam egiziani, ed è stato ripreso prima da Asia News e poi da più di 12.400 siti arabi. Ne parla da giorni Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e professore in Libano e al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Secondo Samir, i firmatari del proclama non sono soli: «Questo desiderio di operare una distinzione tra religione e Stato è un sentimento comune. La religione è una cosa buona in sé e non vogliamo ostacolarla, purché rimanga nel suo ambito, come una cosa piuttosto privata, che non entra nelle leggi dello Stato. Invece i diritti umani, questi sì!(...) E se la legge religiosa va contro i diritti umani, allora preferiamo i diritti umani anziché la sharia» (www.zenit.org). In Italia parole simili sono eresia, perché tutt'altro è lo spettacolo cui assistiamo: una regressione della laicità, della separazione dei poteri, della democrazia. Non stupisce che Berlusconi abbia difeso in principio i dittatori, temendo di disturbarli: non è la storia araba, ma la storia delle nostre
democrazie che non arriva a interiorizzare. Metà del mondo entra in contatto con la democrazia, con le tesi di Montesquieu sul potere frenato da altri poteri, ma lui è fermo, a presidio dell'Uno e l'Indivisibile, in polemica costante con ogni potere di controllo (magistratura, Consulta, Quirinale).
Mai come in queste settimane il suo esperimento è apparso superato: espressione di una democrazia impigrita, chiusa. Anche la sua idea di televisione non è agorà, inclusione del diverso. È un'opinione sola che grida dallo schermo della «scatola tonta» e ha l'impudicizia di presentarsi come Radio Londra armata contro tiranni. Non siamo certo gli unici ad arrancare dietro la primavera araba senza sapere perché arranchiamo: dimentichi dei patti coi tiranni, dei profughi respinti ai nostri confini e consegnati ai campi di concentramento libici, dell'Arabia tramutata in terra d'affari. Il ministro degli Esteri francese Michèle Alliot-Marie ha reagito all'inizio come Frattini, Berlusconi. Ma in Francia son bastati due mesi, e domenica il ministro ha dovuto dimettersi, spinto dal suo stesso partito. Il discorso sui valori, caro al Premier quando inveisce contro la scuola pubblica, o contro l'adozione da parte di single o gay, o contro il diritto del morente a decidere se farsi o non farsi tenere in vita, è frutto di questo monismo non democratico. È una visione gradita alla Chiesa, che può ottenere potere (non in omaggio ai Vangeli ma a una sacralizzazione della stabilità degna del Grande Inquisitore) spartendolo alla maniera dell'Islam radicale: agli imam le moschee, i soldi, la signoria sulle anime; agli autocrati l'imperio politico inconfutato. L'orizzonte è quello dell'agorà negata: che trasforma l'inquilino della comunità protetta non in cittadino, ma in consumatore appeso alla scatola tonta, incapace di uscire e scoprire la Città.

La legge guaina



Ora che la Lega gli ha garantito altri quattro mesi di pazienza e dunque di vita (quest’anno non si vota più: l’annuncio solenne a “Porta a porta” per bocca di Fini) il cavaliere inesistente può scansare le carte che lo danno in picchiata nei sondaggi, problema accantonato per difetto d’urgenza, e concentrarsi sulle scadenze imminenti. I suoi processi, naturalmente. È in corso una gara di sartoria tra i suoi avvocati-stilisti, tutti rigorosamente nominati in parlamento e dunque pagati da noi. Ieri la legge-guaina, concepita per aderire al Nostro come una muta da sub, l’ha progettata l’astro nascente Luigi Vitali, deputato Pdl, subito ripreso e sconfessato dal titolare della maison Niccolò Ghedini irritato dall’intraprendenza del ragazzo di bottega. Bisogna dire che era un gioiello, il modello primavera-estate intitolato “prescrizione breve”. Nel testo il beneficiario dell’indulgenza, capace eventualmente di vanificare il lavoro istruttorio di certe procure in specie quelle situate nei capoluoghi del Nord, risponde al seguente identikit: deve avere più di 65 anni, essere incensurato, le carte a suo carico devono essere state depositate in un secondo momento rispetto a quelle che riguardano i primi indagati specie se costoro hanno nomi di frutti di bosco tipo mora mirtillo o lampone. Nulla si dice dell’altezza, del colore della tintura per capelli né di eventuali protesi meccaniche del prescritto breve, tanto hanno capito benissimo anche i bambini. Ne riferirà comunque Alfano in consiglio dei ministri giovedì prossimo, dando prova di restare serio in volto. Con l’altra mano un altro ministro, questo leghista, esclude la possibilità che gli italiani vadano a votare per i referendum insieme al ballottaggio delle amministrative del 15 maggio. I tre referendum, come sapete, riguardano l’acqua pubbliLa legge Guaina ca, il nucleare e la giustizia (legittimo impedimento). Votare il 29 maggio, insieme al secondo turno delle amministrative, avrebbe consentito un risparmio di circa 350 milioni oltrechè una maggior affluenza alle urne. Maroni ha stabilito che invece si debba tornare al voto una terza volta due settimane dopo, il 12 giugno. L’elettorato leghista, ormai avvezzo a trangugiare ogni genere di sconcezza, dovrà dunque assecondare anche l’inutile spreco di denaro pubblico che senza vergogna Maroni sottoscrive. L’unica spiegazione - quella che non possono dare - è che ora hanno paura del voto. Sì, hanno paura degli italiani. Proprio quelli che hanno democraticamente eletto il premier e che vengono sempre chiamati in causa (a sproposito) come fonte di legittimazione da opporre all’eventualità di un normale processo. Ecco, ora che quegli italiani potrebbero esprimersi d’incanto è meglio di no. Dopo, magari più avanti. In estate, dai. E se si devono buttare 350 milioni pazienza, tanto siamo già usciti dalla crisi, non avete visto? E chi dice che qualche decina di milioni si potrebbe forse destinare alla scuola pubblica è un provocatore di quelli che andranno di nuovo in piazza il 12, professori fannulloni e studenti ignoranti. Che gente.

3 marzo 2011