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domenica 24 luglio 2011

http://www.unita.it/culture/guccini-si-i-partiti-devono-br-stare-al-ritmo-dei-movimenti-1.316515

di Toni Jop

Sì sì, ho letto di D'Alema che chiede attenzione nei confronti dei movimenti. Concordo perfettamente, mi fa piacere che oggi sia d'accordo anche lui. Perché non sembrava lo fosse quando i girotondi scendevano civilmente in piazza, per esempio. Comunque tutto bene: altro? ». Prendete Guccini in un momento qualsiasi di una sua giornata estiva appesantita dal caldo e provate a chiedergli di staccarsi dai suoi pensieri. Fatto. In fondo, e neppure tanto in fondo, serve invece sapere cosa ne pensa del rapporto tra politica, partiti e movimenti uno come lui, che da sempre scambia nobile politica col suo pubblico. 
Continua: Guccini: «Sì, i partiti devono stare al ritmo dei movimenti»

RIFORME IL FINTO FEDERALISMO DELLA DESTRA


Da più di vent’anni federalismo è parola che segna il dibattito politico e la vita delle istituzioni del nostro Paese, In realtà il tema di nuovi rapporti tra stato centrale e poteri locali nasce all’inizio degli anni settanta con l’istituzione delle Regioni. Mentre tuttavia l’esperienza regionalista si muoveva in una visione unitaria del Paese e come delega gestionale di poteri statali, con il federalismo ci si è osto obiettivo più ambizioso di un trasferimento ampio e sostanziale dallo Stato alle Regioni di poteri e titolarità, in molti casi esclusivi, su materie sostanziali. Tanto da divenire nell'interpretazione più estrema della Lega che nel federalismo ha il suo mantra simbolico - sinonimo di separatismo, secessione, indipendenza. Non a caso, la formula <‘padroni a casa nostra» è divenuta nella vulgata leghista il modo facile e populista con cui rappresentare il federalismo, facendone così non già lo strumento per un’architettura nazionale unitaria più moderna e democratica, ma il grimaldello per scardinare la coesione sociale e istituzionale dell’Italia e acuire le sue contraddizioni e ineguaglianze. Non solo, ma la parola “federalismo” viene sempre più spesa in modo propagandistico come la panacea di ogni problema del Paese, accreditando l’illusione che tutto - disoccupazione, bassa crescita, burocrazia, gap infrastrutturale, corruzione, sicurezza e quant’altro troverà soluzione con il federalismo. Mai rappresentazione fu più lontana dalla realtà. Si, perché se si guarda all'esperienza concreta di questi ultimi dieci anni - in otto dei quali a governare sono stati centrodestra e Lega-si vede che è accaduto esattamente il contrario. In ogni settore anche in quelli che le leggi assegnano alla competenza regionale, è dilagata l’invasività governativa e statale, con una costante compressione e mortificazione dell’autogoverno Locale. E soprattutto sul piano finanziario è stato praticato un feroce centralismo statale che non solo anno dopo anno ha ridotto i trasferimenti di risorse dallo Stato ai poteri locali, ma ha finora inibito ogni e qualsiasi possibilità per Regioni, Province e Comuni, di disporre  di significative risorse proprie. Ne sono buona testimonianza provvedimenti sul federalismo demaniale e fiscale. Il primo è tuttora privo degli adempimenti necessari a individuare i beni da trasferire e a quali soggetti istituzionali debbano essere trasferiti, il secondo si è fin qui tradotto in una beffa, stante che l’intero sistema fiscale continua a essere in capo allo Stato che accerta la consistenza dei redditi, definisce aliquote e modalità dell’imposizione fiscale, gestisce la riscossione; mentre a Regioni, Province e Comuni è stata lasciata la sola impopolare facoltà di aumentare alcune addizionali, per altro in dimensione irrisoria. Il risultato è che il combinato disposto di riduzione di trasferimenti e centralismo fiscale ha messo in mora il sistema dei poteri regionali e locali, trasformando il federalismo in un simulacro utile al più per qualche stravagante rito propiziatorio al dio padano. Tal che né l’Italia né le sue Regioni, né i cittadini traggono alcun beneficio.

giovedì 21 luglio 2011

Partito Democratico
La nota del mattino
21 luglio 2011


1. LA MAGGIORANZA SI SPACCA. VA SOTTO SUI RIFIUTI. PERDE LA SFIDA SU PAPA. PASTICCIA E FA DISINFORMAZIONE SU TEDESCO. IL PD E LE OPPOSIZIONI TENGONO. COMINCIA UNA NUOVA FASE.


Giornata cruciale ieri in Parlamento. Fin dalla mattina giornali e Tg berlusconiani hanno puntato il dito sul Pd, nel tentativo di accollare al Partito Democratico le manovre per la salvezza di Papa e di Tedesco, di cui si votava ieri la richiesta di arresto alla Camera e al Senato.
In mattinata il governo ha addirittura votato contro se stesso pur di affossare il decreto sui rifiuti destinato ad aiutare Napoli, nel tentativo di convincere la Lega (contraria a far arrivare i rifiuti nelle regioni del Nord) a salvare il parlamentare Alfonso Papa nel pomeriggio.
Il tentativo di salvare l’ennesimo berlusconiano coinvolto in affari di cricca, scaricando tutto sulle spalle del Pd, è andato a vuoto. La compattezza dei gruppi parlamentari del Pd e degli altri partiti di opposizione ha colto di sorpresa la maggioranza, mentre una parte della Lega per la prima volta ha mollato Berlusconi. Il Pd e le altre opposizioni hanno chiesto con forza il voto palese per evitare strumentalizzazioni. Poi, in entrambi i casi, Camera e Senato hanno votato sì.
Alla Camera il risultato è stato lampante. Papa, che aveva chiesto di votare no, già da ieri sera è in carcere. La Lega si è spaccata e una parte robusta del Carroccio, quella che si riconosce nella linea del ministro Roberto Maroni, si è unita alle opposizioni.
Al Senato il PdI e la Lega sono riusciti a rendere le cose meno chiare, ma le dichiarazioni di Tedesco e i numeri, che nel caso di un voto segreto sono i fatti incontrovertibili, dicono con chiarezza che cosa è accaduto: Tedesco, senatore del gruppo misto, ha chiesto il voto palese e il voto favorevole all’arresto; la maggioranza, che votava no, ha preso i voti che dovevano risultare in base alle presenze dei parlamentari dei gruppi che sostengono il governo; le opposizioni, che votavano sì all’arresto, hanno preso più voti di quanti parlamentari delle opposizioni fossero presenti. Vi sono stati 11 astenuti. Molti quotidiani oggi si interrogano su scambi di voti. Ma con questi dati, seppure ci sono davvero stati, hanno riguardato evidentemente poche unità da una parte e dall’altra.
I segnali che emergono dalla giornata di ieri sono due. Il primo: come ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, la maggioranza si è spaccata e in modo difficilmente recuperabile. Il secondo: si è rotto il meccanismo dell’impunità. Oggi tutti coloro che pensavano di non parlare di fronte alla magistratura perché coperti dall’ombrello berlusconiano sanno che l’ombrello si è rotto. Non a caso ieri sera il presidente del Consiglio era furibondo.

Da L’Unità. Claudio Sardo. “Le manette non sono un simbolo di progresso sociale. Tuttavia il sì della Camera all’arresto di Alfonso Papa è stato ieri una scelta giusta, mentre invece il rifiuto del Senato alla richiesta di custodia cautelare per Alberto Tedesco è diventato, al di là di ogni motivazione, una prova di opacità, persino di ostilità verso i sentimenti prevalenti dell’opinione pubblica. Si tratta di casi assai diversi tra loro. Le stesse accuse sono diverse. Ma le istituzioni erano chiamate ieri innanzitutto a smentire i privilegi legati al mandato parlamentare e a riaffermare il principio di uguaglianza di fronte alla legge. È vero che in questi anni i rapporti tra politica e giustizia hanno subito storture e le invasioni di campo sono state molteplici, come più volte ha detto lo stesso Capo dello Stato. È anche vero che la rappresentanza non può essere privata di una tutela costituzionale, pena un deficit democratico. Ma l’errore antico della nostra Repubblica è stato ingigantire questa tutela fino a renderla quasi una condizione di impunità. E sarebbe oggi un errore altrettanto grave, nel momento in cui i cittadini, soprattutto i ceti medi e le fasce più deboli, sono chiamati a pesanti sacrifici, esibire protezioni o esenzioni speciali per i rappresentanti. Non è il cedimento all’onda montante del giustizialismo e deII’antipolitica. AI contrario la linea del rigore è il solo modo per arginarla, per evitare che la protesta si scagli contro tutta la politica anziché contro chi ha avuto le principali responsabilità di governo. Non è un caso che da settimane da quando cioè è chiaro a tutti che Berlusconi non è più in grado di governare - i giornali di destra (purtroppo spalleggiati anche da supporter di sinistra) stanno cavalcando il disprezzo generalizzato contro la “casta”. La ragione evidente è cancellare le chances di un’alternativa democratica, visto che non ci sono più medicine per risollevare da terra il loro Cavaliere. Il compito del centrosinistra è difficile. Senza austerità, anzi senza un supplemento di rigore e di etica pubblica, il rischio è proprio la delegittimazione della politica. Invece la politica è Io strumento indispensabile per chi non ha poteri finanziari, economici, mediatici. Ma il centrosinistra, se vuole davvero contribuire alla ricostruzione del Paese e a una nuova stagione di crescita, deve fare ancora molto di più. Quella a cui assistiamo non è soltanto la crisi di un governo. Ieri la Lega ha inferto un altro duro colpo a Berlusconi. E il fatto che abbia giocato con cinismo e trasversalità sui tavoli della Camera e del Senato non ha nulla di rassicurante per il premier: peraltro, il vincitore della giornata pare proprio quel Maroni che ormai rappresenta l’anima più antiberlusconiana del Carroccio. La crisi, comunque, non riguarda solo l’esecutivo pro tempore. È una vera propria crisi di sistema, è il capolinea della cosiddetta Seconda Repubblica. In fondo, se oggi appare inaccettabile il residuo di immunità parlamentare che riguarda gli arresti, ciò dipende anche da una legge elettorale intollerabile come il Porcellum, che produce parlamentari nominati e che puntella i governi con un premio di maggioranza che non ha uguali in Occidente. Tedesco ha pronunciato ieri in Senato un discorso coraggioso: ma ora per coerenza dovrebbe sospendersi dalle funzioni (e dallo stipendio) di senatore finché i magistrati non rimuoveranno la richiesta cautelare. In ogni caso, compito di tutti i riformatori è gettare un ponte verso un nuovo, moderno sistema politico-istituzionale.
Senza questa ambizione non si ritroverà né l’equilibrio tra i poteri dello Stato, né un sano rapporto con i cittadini e i corpi intermedi. Servono partiti rinnovati, aperti alle novità sociali e alla partecipazione attiva. Ma servono partiti, capaci di garantire un collegamento tra società e istituzioni. Sono invece assai dannosi quegli apparati a servizio di leadership personali, che poi inevitabilmente producono cricche. Il sì all’arresto di Papa e il no ai domiciliari per Tedesco avranno ancora code polemiche. La Lega ha provato anche ieri (almeno in Senato) a ripetere il gioco del ‘93, quando salvò Craxi nel segreto dell’urna e poi cercò di mettersi a capo della protesta agitando il cappio. Salvo qualche marginale dissenso, sono apparsi chiari gli schieramenti in campo. Le opposizioni hanno tenuto, schierandosi a favore delle richieste delle Procure. Altrettanta coerenza ha avuto il PdI, votando contro. La Lega si è divisa, ha dimostrato di essere determinante e ha messo il governo al tappeto. Ma adesso chi ama l’Italia deve pensare al dopo”.


2. OGGI SI DECIDE IL DESTINO
DELL’EURO. VERTICE TRA I CAPI DI STATO E DI GOVERNO DOPO L’INCONTRO SARKOZY-MERKEL-TRICHET PER IL PIANO DI SALVATAGGIO DELLA GRECIA.

Da Il Sole 24 Ore. “Mai come oggi il futuro dell’Unione appare nelle mani di Angela Merkel. Il momento è delicatissimo per una zona euro alle prese con un possibile tracollo della Grecia e un drammatico effetto-domino. Gli ultimi sondaggi in Germania mostrano un calo della popolarità del cancelliere, che alla vigilia dell’incontro di oggi tra i capi di governo deII’Eurogruppo rappresenta un nuovo fattore di incertezza. In una dichiarazione ieri a Bruxelles, il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso ha avuto parole estremamente preoccupate: «Nessuno deve farsi illusioni - ha spiegato I’ex premier portoghese - la situazione è molto seria. È necessaria una risposta, altrimenti le conseguenze negative si faranno sentire ai quattro angoli dell’Europa e anche oltre», Il vertice d’emergenza di oggi preceduto da un inatteso incontro tra la signora Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy ieri sera a Berlino, a cui ha partecipato anche il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet - deve servire a trovare una soluzione alla deriva greca. Il Paese mediterraneo in crisi debitoria gode dal 2010 di un pacchetto di prestiti su tre anni del valore di Ilo miliardi di euro, ma il salvagente non è sufficiente, e nuovi aiuti sono necessari fino aI 2014. Il problema è mettere a punto un paracadute che sia accettabile a tutti i Paesi della zona euro. La Germania, appoggiata dalla Finlandia e dall’Olanda, chiede che il settore privato partecipi al salvagente. L’opinione pubblica tedesca non vuole essere il Zahlmeister dell’Europa, l’ufficiale pagatore dell’Unione, e chiede a gran voce la partecipazione delle banche, ritenute responsabili dello sconquasso finanziario. La posizione tedesca è ambigua. Da un lato non vuole pagare per gli errori altrui; dall’altro gli esponenti più lucidi dell’establishment si rendono conto che un fallimento greco creerebbe danni ingenti a tutta l’Europa e in particolare alla Germania, il paese che più ha beneficiato della moneta unica in questi ultimi anni. La signora Merkel è alla ricerca di un arduo equilibrio tra queste due visioni. Ecco perché il cancelliere oscilla tra posizioni apparentemente contraddittorie. Due giorni fa ha raffreddato le attese, spiegando che un “progresso spettacolare” nel vertice di oggi è improbabile. Ieri il suo portavoce ha detto che il cancelliere si aspetta un “buon risultato”. In serata il presidente Nicolas Sarkozy si è recato a Berlino per trovare un accordo franco- tedesco che possa essere poi accettato dagli altri paesi. L’atteggiamento di Berlino non piace a molti in Europa. Ieri Barroso, con insolita fermezza, ha chiesto ai leader europei di spiegare «ciò che possono fare e ciò che vogliono fare. Non ciò che non possono fare e ciò che non vogliono fare». Le tensioni nazionali sono evidenti. Il premier greco George Papandreu ha parlato di vertice «cruciale» per il futuro della zona euro. C’è crescente nervosismo in Germania sul futuro della stabilità economica tedesca. «L’unione monetaria è stata un obiettivo utile, ed è ancora un esperimento, ma abbiamo ora raggiunto un punto critico)>, ha spiegato l’ex capo economista della Bundesbank ed esponente della Banca centrale europea Otmar Issing durante un talk-show televisivo. «Il mio timore è che l’euro perda I’accettazione del pubblico)>. Anche la crisi finanziaria e il modo in cui il governo federale la sta gestendo sta pesando sulla popolarità del cancelliere, ai minimi degli ultimi cinque anni. Molti ieri si chiedevano se gli ultimi sondaggi, così negativi, indurranno la signora Merkel a un colpo d’ala nel vertice di oggi a Bruxelles, scegliendo una risposta che sia al tempo stesso convincente e durevole, o se le suggeriranno I’ennesimo compromesso di breve durata.


3. FILIPPO PENATI INDAGATO PER CORRUZIONE. PENATI: SONO SERENO. BERSANI: LA MAGISTRATURA FACCIA IL SUO LAVORO FINO IN FONDO.

Ieri la magistratura di Monza ha reso noto che Filippo Penati, vicepresidente del consiglio regionale lombardo, è indagato per corruzione e concussione in relazione ad avvenimenti svoltisi nel 2001, quando era sindaco di Sesto San Giovanni. Penati alle agenzie di stampa: “Sono sereno, ringrazio il mio partito per il sostegno che mi ha immediatamente manifestato. Non ho nulla da temere sono certo che tutto verrà chiarito”. “Penati, si legge in una nota, si è messo a disposizione della Procura di Monza e nutre “assoluta fiducia nella magistratura” ed è certo che all’esito dell’indagine la sua posizione “verrà totalmente chiarita in senso a lui favorevole”.
Bersani alle agenzie: “La magistratura faccia il suo mestiere per accertare questa vicenda”.

Finale di partita

L'editoriale
di Claudio Sardo 









Le manette non sono un simbolo di progresso sociale. Tuttavia il sì della Camera all’arresto di Alfonso Papa è stato ieri una scelta giusta, mentre invece il rifiuto del Senato alla richiesta di custodia cautelare per Alberto Tedesco è diventato, al di là di ogni motivazione, una prova di opacità, persino di ostilità verso i sentimenti prevalenti dell’opinione pubblica. Si tratta di casi assai diversi tra loro. continua........http://editoriale.blog.unita.it/finale-di-partita-1.315717

martedì 19 luglio 2011


ARTICOLO

Costi della politica: il PD li vuole tagliare, il governo mette la fiducia e lo impedisce. Libero e Il Fatto non se ne accorgono

Libero scrive che nella notte PD e PDL si accordano per aumentarsi lo stipendio, ma non è vero. Il Fatto riprende l'articolo. I senatori Marilena Adamo, Paolo Baretta e Francesco Sanna spiegano come sono andate le cose

pubblicato il 16 luglio 2011 , 3262 letture
Forbici tagli 1
Alcuni quotidiani "vicini" a Berlusconi (Libero e Il Giornale) ed Il Fatto ieri hanno pubblicato degli articoli sulla discussione in Senato della manovra economica del Governo, in particolare sulla riduzione dei costi della Politica, che - oltre a diverse inesattezze- travisano totalmente la realtà e assimilano la posizione del PD a quella di PDL e LEGA.
Invece il Governo ha messo la fiducia su un maxiemendamento predisposto da Tremonti e dalla maggioranza. Su quello ha deciso di votare avendo i numeri per approvarlo. Il PD, l'IDV e l'UDC che avevano presentato emendamenti alternativi sui costi della politica (vitalizi, accorpamento dei comuni, accorpamento delle province, accorpamento delle società comunali, niente doppi incarichi, stipendi dei parlamentari in linea con la media europea da subito) se li sono visti vanificare dalla fiducia, che ha impedito qualsiasi modifica al testo del Governo.

Il senatore Paolo Giaretta ha risposto così alle e-mail ed ai commenti :
Forse se il giornale Libero avesse visto il resoconto della Commisssione Bilancio non avrebbe potuto dire "nella notte e lontano dalle telecamere, ecc." nella notte abbiamo lavorato per forza, visto che non c'era altro tempo per consentire di andare in aula il giorno dopo. Ma avrebbe visto che le opposizioni hanno presentato emendamenti che prevedono la cessazione dei vitalizi e l'immediato adeguamento delle retribuzioni alla media europea. Mi sembra che sia invece una cosa di buon senso paragonare le retribuzioni ai parlamenti dei maggiori paese che sono omogenei a quello italiano, per dimensioni e funzioni. Sono intervenuto ed insieme a me altri senatori del PD, alquanto indignati per questa sordità della maggioranza. i voti si sono conclusi 12 a 13. Tutti i senatori dell'opposizione a favore degli emendamenti, tutta la maggioranza contraria. Questa è la verità dei fatti desumimbile del resto dal resoconto dei lavori della commissione.

La senatrice Marilena Adamo ed il senatore Francesco Sanna hanno scritto una lettera a Il Fatto Quotidiano:

cara redazione del Fatto Quotidiano, ci spiace molto aver visto sulla vostra pagina online che riprendete tout court un articolo di Bechis su Libero che riporta una ricostruzione falsa di quanto dibattuto e votato in Commissione Affari Costituzionali al Senato, martedi e mercoledì scorso. Vi preghiamo quindi di pubblicare queste nostre righe perchè ci spiacerebbe davvero che i lettori fossero tratti in inganno. Schematicamente: 
1. Il parere della Commissione è appunto un parere, essendo la manovra materia della V Commissione-Bilancio 
2. Non si sono svolte riunioni segrete e notturne, ma una martedì pomeriggio e l'altra mercoledì mattina; 
3. Gli interventi compiuti sulla manovra di Adamo e Sanna li trovate sul resoconto di martedì. L'audio integrale di Sanna anche sul suo sitowww.francescosanna.com.
In questi interventi, come in quelli degli altri senatori PD, le nostre proposte sono state chiarissime su: tagli degli emolumenti e proposte di modifica delle pensioni, richiesta di anticipare le decisioni al 1 gennaio 2012, che la manovra rinvia a dopo il 2013, in quanto hanno fatto esplicito riferimento all'emendamento presentato dal PD con le altre opposizioni e respinto dalla maggioranza in Commissione Bilancio. L'intervento di Pancho Pardi fa difatti riferimento alle medesime nostre posizioni e vi si associa.
4. Nella seduta di mercoledì le frasi da voi citate si riferiscono solo ad una richiesta di modifica venuta dal senatore Pastore al testo del Parere presentato dal relatore che non condivevamo: cioè i parametri da usare per calcolare la media europea degli emolumenti. Tra l'altro facciamo notare che la decisione assunta poi dalla maggioranza nel suo maxi emendamento, cioè nel testo definitivo, va esattamente nel senso opposto da quello da noi indicato: cioè si fa la media solo con i paesi più ricchi e con gli emolumenti più alti.
5. La questione poi è rintracciabile nella prima parte del parere, quella a cui noi abbiamo votato contro,mentre abbiamo votato a favore delle cosiddette "osservazioni", cioè suggerimenti dati alla commissione bilancio, che non ne ha tenuto conto, perchè riprendevano le nostre proposte: anticipare i tagli dei "costi della politica", accorpare le province, rivedere scelte sulla scuola perchè anticostituzionali ecc.
Insomma se Libero si affanna a cercare di dimostrare l'indimostrabile, ci aspettiamo che Il Fatto dia conto, appunto dei fatti. Fatti che potrete facilmente trovare sul parere votato e sui due resoconti, quello del 12 e quello del 13, con preghiera di dare ai lettori i link giusti perche, sicuramente per una svista, se si apre il vostro link "apri il resoconto del Senato"si apre invece l'articolo di Libero, da alcune settimane impegnato a gestire la fine del ciclo politico di Berlusconi al grido di "sono tutti uguali".
Grazie per la cortese ospitalità
Marilena Adamo e Francesco Sanna, senatori e lettori.

Lo stesso Francesco Sanna ha scritto anche a Franco Bechis, autore dell'articolo:

Caro Bechis, mi faccia provare a spiegare ai lettori di Libero cosa ho sostenuto per il PD nella Commissione Affari Costituzionali del Senato sul taglio dei costi delle istituzioni nella manovra economica, il 12 ed il 13 luglio scorsi. L’audio del primo intervento è disponibile sul mio sito internet, il sommario verrebbe così: 1) Rimandare alla prossima legislatura i “tagli” ai costi della politica è improponibile. Facciamo le riforme e le riduzioni un minuto prima di imporre i sacrifici al Paese e spieghiamo come si utilizzano i soldi pubblici per il funzionamento della democrazia. I tagli partano dal 1° gennaio 2012, non dalla seconda metà del 2013 come dispone il decreto legge.
2) Più trasparenza e dovere di rendicontazione di come usa i soldi pubblici il Parlamento ed ogni singolo parlamentare. Altrimenti, fuori di qui, si crederà che si vive tutti … alla Milanese ! 3) Il vitalizio parlamentare italiano non ha corrispondenti nei sistemi istituzionali europei. Proponiamo di abolirlo e di equiparare le pensioni dei parlamentari a quelle degli altri lavoratori dipendenti. Sia per consistenza economica (applicando il metodo contributivo), sia per età.
4) Auto blu. Gli annunci roboanti di Brunetta non hanno sino ad oggi prodotto la riduzione nemmeno di una Panda arrugginita. Voli di Stato. Appena tornato al Governo, il centrodestra cambia le regole e moltiplica per tre le ore di volo. Da subito le nuove regole.
5) Bisogna accorpare le diverse consultazioni elettorali per risparmiare. Ma perché non farlo anche per i referendum ? Argomento tabù per la maggioranza, che deve far dimenticare di aver dissipato 300 milioni di euro non più tardi di due mesi fa per evitare che si raggiungesse il quorum al referendum sul legittimo impedimento.
Il giorno dopo, nella discussione del parere che rendiamo alla Commissione Bilancio, diversi senatori della maggioranza liquidano queste proposte come “populismo”.
Replico: il populismo è del Governo. La Costituzione dice che la legge fissa l’indennità parlamentare, la manovra rimanda invece a commissioni di studio e medie europee senza indicare criteri che rendano determinabili i valori. Prendiamo i 17 paesi dell’Area Euro di cui parla il decreto legge, li pesiamo demograficamente e facciamo la media. Assumiamo il valore di quanto spende il popolo europeo per le sue istituzioni, facciamo la media e non sbagliamo.
Il mio suggerimento è per accelerare, non per frenare o tornare indietro. Viene messo tra le osservazioni della Commissione. Il PD vota comunque contro il parere, e a favore delle osservazioni che ha contribuito a formulare.
Tutto questo accade nella mattina del 13 luglio ( e non durante la notte senza testimoni).
In Commissione Bilancio, la maggioranza si accorda con il Governo per cambiare la norma. Si prenderanno i trattamenti economici dei parlamentari non dei diciassette paesi dell’area euro, ma solo dei sei “più importanti” tra questi (e con istituzioni più costose, aggiungo io). E facendo riferimento al loro PIL, cioè alla loro ricchezza, e non al numero dei lori cittadini. Io non sono d’accordo perché non sempre un paese con grande popolo è molto ricco e mentre invece in Europa lo sono quelli con poca popolazione.
Insomma, con il sistema prescelto dall’accordo tra maggioranza e governo, che ha escluso le opposizioni, la riduzione dei costi – se ci sarà – sarà lievissima.
Il PD ha votato contro queste modifiche, che rischiano davvero di innalzare lo status economico dei parlamentari, sia in Commissione Bilancio, sia nel voto di fiducia.
Le cose sono andate così. A suoi lettori il giudizio.
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 Le ricostruzioni pelose della destra fatte trapelare attraverso Libero devono fare i conti con questo dato di fatto. Chi abbocca cade in un tranello studiato a tavolino.

Mar. Lau.

sabato 16 luglio 2011

Fabbrica di classe

NANEROTTOLI  
 Toni Jop
 Fonte L'Unità del 16 Luglio

Otto milioni di italiani vivono la povertà. Pdl e Lega hanno messo assieme una manovra economica in grado di gonfiare quella cifra: non prelevano dalle tasche di chi conserva e maneggia denaro improduttivo, saccheggiano le tasche di una middle class sull’orlo della crisi. Nessuna meraviglia: rappresentano alcuni interessi  e quelli difendono al di là dei proclami. Non serve essere poveri per lottare contro la povertà, però nessuno lo sa fare bene come chi paga sulla sua pelle quell’odioso stato di necessità. Ecco perché non ci sono «nullatenenti» nelle file della destra, per evitare fastidiose contraddizioni. Preferiscono inzeppare aula e governo di ex veline e modelle di calendari, convinti di poter contare sulla gratitudine di schegge sociali altrimenti alla deriva nel gran cosmo della povertà. 

Bersani ha definito La manovra «spudoratamente classista. Vero e di più: è una fabbrica di classe.







venerdì 15 luglio 2011

Partito Democratico La nota del mattino 15 luglio 201



1. UNA MANOVRA SCANDALOSAMENTE CI.ASSISTA. OGGI IL VOTO CONTRARIO DEI. PD. BERSANI: BERLUSCONI SE NE DEVE ANDARE. PER IL BENE DELL’ITALIA. SONO LORO CHE CI HANNO PORTATO QUI. BINDI: SCELTE INIQUE E SALVA-CASTE.

Bersani a La Repubblica e Bindi a Il Corriere della Sera hanno chiarito oggi il giudizio del Pd sulla manovra del governo e il voto contrario del Pd. Oggi il voto alla Camera. Bersani interviene in aula.
Con questa intervista a La Repubblica, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, appena tornato dal viaggio in Nord Africa e medio Oriente, ha chiarito di considerare la manovra del governo scandalosamente classista. “Un minuto dopo I’approvazione della manovra i protagonisti politici ed economici di <(questa vergogna» se ne devono andare. Via Berlusconi e via anche Tremonti”. Pierluigi Bersani, reduce da un viaggio in Medio Oriente, riprende fisicamente posto sulla poltrona di segretario e chiarisce che il Pd si è impegnato ad accelerare i tempi di approvazione della manovra «solo per evitare minacce dall’esterno»: «Non lo stiamo facendo per Berlusconi ma per il Paese». Il senso di responsabilità non va confuso con qualsivoglia complicità. «Adesso ci vuole una svolta politica», dice il segretario del Pd. E annuncia: «Se tocca a noi, pur salvando i saldi, cambieremo l’asse di questa manovra classista. Se tocca a noi, toglieremo il ticket. I soldi si possono trovare altrove». Onorevole Bersani, il governo Berlusconi sta per incassare il via libera alla manovra con una tempistica senza precedenti. Il giorno dopo che cosa succede? «Il giorno dopo Berlusconi deve andare a casa. Ha preso una strada sbagliata e siamo all’ultimo tornante. Se il guidatore insiste nel tenere il volante, andiamo a sbattere». E allora? ((E allora si deve andare ad elezioni, con nuovi protagonisti, nuovi programmi, nuove ricette nel rispetto del saldo di bilancio. Solo questo può ridare fiducia, credibilità e un senso di riscossa al Paese». La seconda opzione? ((Non mi sottraggo all’ipotesi subordinata di un passaggio di transizione che renda possibile allestire una nuova legge elettorale e imbastire le riforme>. Berlusconi non vuole lasciare. «Il peggio del peggio. Andare avanti così per altri due anni, con un ministro accusato di mafia, con un Consiglio dei ministri che non riesce a riunirsi, ci espone a tutte le intemperie)). Non pensa che la maggioranza sfrutti il vostro atteggiamento responsabile per blindarsi? «Se lo scordino. Sia chiaro che noi siamo radicalmente alternativi, siamo un partito di governo con un’altra idea. Sono loro che ci hanno portato sin qui. Non c’è nessun tipo di collaborazione da parte nostra con un governo del quale non condividiamo la politica economica, le condizioni della trattativa, così come sono state poste a livello europeo, e i contenuti di questa  manovra. Si tutelano gli evasori delle quote latte, ci si spaventa a morte per una lettera dell’Ordine dei notai e si fa pagare il ticket alla gente normale. Una vergogna». Berlusconi non parla. «Il suo silenzio è impressionante, il punto più basso di questa legislatura già bassa». La scelta del rigore ricadrà così sul solo Tremonti e persino su voi dell’opposizione... «Noi non condividiamo questa manovra. Colpisce i ceti medi e bassi, sega le autonomie locali, non mette niente sul tema della crescita, non disturba in modo significativo chi ha di più. I tagli lineari sulle detrazioni fiscali si rivolgono a chi paga le tasse. E quelli che non le pagano? Ne stanno fuori? E’ ingiusto. Ricordo che abbiamo proposto emendamenti per l’accorpamento dei piccoli Comuni, per il superamento dei vitalizi, per affrontare in modo credibile il problema delle Province... Nemmeno una di queste proposte è stata presa in considerazione». Se toccasse a voi, cosa fareste? «L’Europa ci conosce, sa che siamo persone di governo, che abbiamo affrontato momenti difficili, che non verremo mai meno agli impegni, pur discutibili, assunti da questo esecutivo. Se tocca a noi, garantiremo i saldi ma cambieremo asse a questa manovra». Nessuno potrà dire che il Pd è complice del ritorno del ticket. «L’hanno messo loro. Il Pd lo toglierà». Tutto interessante ma se Berlusconi non se ne va? «Sarebbe un irresponsabile. Deve prendere atto che la sua raccattata e ribaltonesca maggioranza parlamentare non rappresenta la maggioranza reale del Paese, l’abbiamo visto di recente alle amministrative e con i referendum». In questo caso cosa farete? «In democrazia si combatte. La gente comincia a capire e molti della maggioranza sono imbarazzati. Berlusconi non è più in grado di dare un messaggio all’italia, di parlare di onestà, civismo, regole. Per 15 anni ha espresso l’esatto contrario di questi valori. Chiedo un moto dei “responsabili’ di questo Paese, e non parlo di Scilipoti, ma dell’opinione pubblica, intellettuali, imprenditori, forze ragionevoli della maggioranza... E’ il momento di dire basta. Nei miei incontri in Medio Oriente, da Netanyahu ad Abu Mazen, ho registrato l’appello per un rinnovato protagonismo dell’italia ma anche la sensazione che ormai tutti pensino che la stagione dei berlusconismo sia finita». Il discredito del governo conta sui mercati? «Credo che il dato politico sia rilevantissimo. Non è stata tenuta una linea europeista che contribuisse a far parlare l’Europa con una voce sola in tema di investimenti sui lavoro e di tassazioni sulle transazioni finanziarie, la nostra politica economica si è rivelata sbagliata e non credibile. Se arrivasse nei prossimi mesi una svolta politica, questo non porterebbe instabilità ma, al contrario, fiducia». Ne ha parlato durante l’incontro che ha avuto con il governatore Draghi? «Owiamente non riferisco i contenuti di una conversazione. Posso dire qual è il mio interesse: trovare la risposta per far vedere ai mondo che in italia si può invertire la rotta e dare nuovo impulso alla crescita».
Rosy Bindi, ha spiegato oggi il voto contrario del Pd. «È la manovra più iniqua e dannosa che si potesse adottare».  Eppure, presidente Rosy Bindi, è anche grazie al Pd se oggi sarà approvata a tempo di record.
«Noi siamo responsabili dei tempi, il contenuto invece è tutto loro. Non solo noi voteremo contro, ma faremo di tutto per spiegare al Paese che questa manovra fa vera macelleria sociale. Dopo aver messo a rischio la scuola pubblica ora il governo mette a rischio la salute pubblica, rende i poveri più poveri e dà il colpo di grazia a quel poco di ceto medio che era rimasto nel Paese». Tremonti e Berlusconi vi avevano offerto garanzie nel merito? Vi sentite ingannati dal governo? «Noi abbiamo risposto all’invito del capo dello Stato. Abbiamo offerto la nostra disponibilità, chiedendo però come premessa le dimissioni dei governo e un’ammissione di responsabilità da parte del premier e del ministro dell’Ecoriomia. Se l’ltalia è stata sottoposta all’aggressione dei mercati è perché la politica di questo governo non ha più nessuna credibilità. Sono inaffidabili». Col senno di poi fareste diversamente? «Se noi non avessimo consentito l’approvazione in una settimana, comunque lo avrebbero fatto entro il mese. Con il Paese esposto alle speculazioni era necessario dare un segnale ai mercati. Detto questo, è quanto di più distante da quel che avremmo voluto. La manovra salva tutte le caste, non tassa le rendite e non prevede una sola misura di crescita. Invece di far pagare chi si è arricchito, aumenta le diseguaglianze». Dimissioni, e poi? «L’unico gesto di responsabilità che Napolitano può chiederci è quello di sostenere un governo affidato a una personalità che goda di prestigio internazionale e di riconoscimenti  in sede europea». Una figura come Mario Monti? «È evidente che Monti rientra in questo profilo, ma i nomi li fa il presidente della Repubblica. lo me ne guardo bene». Griderebbero al ribaltone... «Non sarebbe il governo del ribaltone. Ma gli attuali ministri devono stame fuori. Questo si può chiedere a un’opposizione che, andando contro i propri interessi di parte, ha dimostrato di avere a cuore gli interessi del Paese. Il governo riconosca che è il primo responsabile, approvi la manovra e si dimetta. E un atto di responsabilità dovuto al Paese, noi lo abbiamo fatto e adesso tocca a loro». È proprio sicura che il centrosinistra non abbia colpa alcuna del dissesto dei conti pubblici? «Non è un caso che le speculazioni finanziarie siano arrivate adesso. Oltre ai problemi di Berlusconi e del ministro Romano, abbiamo il responsabile dell’Economia lambito da vicende non edificanti che riguardano persone a lui molto vicine. Citando Tito Livio, Tremonti ha detto che resterà al suo posto “ottimament&’. Ma chi può stare bene in un momento come questo?».

2. IL PD LANCIA INIZIATIVE CONTRO UNA MANOVRA INIQUA.
MANOVRA: MIGLIAVACCA (PD), DA NOI INIZIATIVE CONTRO MISURE INIQUE = (AGI) –

Roma, 14 lug. - “Il Partito Democratico si prepara a lanciare iniziative contro la manovra iniqua e sbagliata con la quale il governo vuoi far pagare agli italiani il prezzo pesantissimo del suo fallimento, In ogni festa democratica in corso e in via di preparazione in tutta Italia il Pd invita i propri militanti a organizzare iniziative per spiegare ai cittadini gli effetti di questa manovra che scarica sui ceti bassi e medi tutto il peso di un risanamento resosi necessario per l’incapacità e l’insipienza del governo; per spiegare le proposte che il Pd e gli altri partiti dell’opposizione hanno presentato in Parlamento per ottenere il risanamento dei conti ma per altre vie, puntando anche alla crescita e al taglio dei costi della politica; per rimarcare la necessità che questo governo se ne vada perché produce danni pesanti al paese. La manovra della destra, approvata dalla maggioranza con l’ennesimo voto di fiducia e il voto contrario di tutte le opposizioni, che hanno aderito all’appello del presidente della Repubblica ad accelerare i tempi solo per evitare che la speculazione internazionale penalizzasse duramente gli italiani, rappresenta il manifesto del fallimento del governo Tremonti-Berlusconi-Bossi”. Lo afferma Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd. (AGI)

3. GLI USA SULL’ORLO DEL BARATRO, UN PERICOLO PER TUTTO IL MONDO. NONOSTANTE IL DEBITO ALLE STELLE LA DESTRA NON ACCETTA RITOCCHI ALLE TASSE DEI RICCHI O TAGLI ALLE SPESE MILITARI.
Da La Repubblica. Articolo di Federico Rampini. “L’ultimo segnale che la situazione è davvero grave, è l’appello del governo cinese rivolto a Washington: «Dovete proteggere gli interessi degli investitori». Con 1.000 miliardi di titoli del Tesoro Usa nella cassaforte della sua banca centrale, la Cina è il primo di quegli investitori esteri a dovere immaginare I’impensabile. L’impensabile è il “default” degli Stati Uniti d’America. Altro che Grecia, altro che Italia. Lo stallo, tutto politico, del negoziato fra Barack Obama e i repubblicani costringe il mondo intero a interrogarsi su uno scenario assurdo, inaudito, I’Apocalisse della finanza globale. Ma davvero può fallire la più grande economia mondiale? Può, in teoria e di fatto, eccome se può, è l’awertimento che anche il New York Times lancia alla sua classe politica: “Qualsiasi ritardo neII’onorare i debiti equivale di fatto a un’insolvenza. Quand’anche fosse breve, potrebbe scuotere la fiducia neIl’economia americana, e sconvolgere gravemente i mercati finanziari globali”. Che la situazione sia drammatica lo conferma perfino la toponomastica: ieri è stata ventilata I’ipotesi di spostare il negoziato Obama-democratici-repubblicani a Camp David, la residenza dove altri presidenti americani ospitarono le trattative di pace israelo-palestinesi. Un segnale che stavolta è l’America stessa il teatro di un conflitto destabilizzante. AIl’origine c’è una norma speciale che regola le finanze pubbliche Usa. Il Congresso ha il diritto-dovere di fissare un limite al debito. Raggiunto quel limite legale, il Tesoro non può procedere a nuove emissioni di titoli per rifinanziarsi, finché il Congresso non rinnova l’autorizzazione. Il limite fatidico ormai è raggiunto, 14.300 miliardi di dollari. La data fissata per la “fine del mondo” è il 12 agosto. Se prima di allora il Congresso non avrà votato un innalzamento del debito, il Tesoro non potrà rifinanziarsi. Il Congresso è spaccato, i democratici controllano il Senato e i repubblicani la Camera. Se non arriva l’accordo bipartisan cesseranno pagamenti di servizi essenziali, come le pensioni. Ma più delle conseguenze concrete sulla popolazione americana, il resto del mondo s’inquieta per le ricadute sui mercati. Una interruzione sia pure momentanea dei pagamenti di Washington ai suoi creditori planetari può scatenare il panico sui mercati. Stiamo parlando dell’economia più ricca del mondo; della moneta (il dollaro) più diffusa come mezzo di pagamento universale; del titolo (Treasury Bond) più ubiquo e liquido, onnipresente nei portafogli di tutte le categorie di investitori (banche, fondi pensione, assicurazioni). Da qui ad agosto il conto alla rovescia può essere punteggiato da accessi di paura collettiva. Non importa se la crisi è artificiale perché “fabbricata” dalla politica. Le sue conseguenze sono reali. Questo rischia di trasformarsi nel temuto “after-shock” del 2008-2009. Le grandi crisi finanziarie della storia hanno spesso avuto delle scosse di assestamento successive. Dopo la recessione innescata dal disastro dei mutui subprime, un’altra catastrofe globale potrebbe essere “made in Usa”, stavolta prodotta dal corto circuito tra escalation debitoria e calcoli politico-elettorali. Colpisce la sproporzione tra le cause. Da una parte c’è il declino americano provocato da politiche neoimperiali (due guerre, 3.000 miliardi di costo); il dissanguamento delle entrate fiscali per le politiche neoconservatrici; la demografia che porta in pensione le generazioni popolose del baby-boom. D’altra parte c’è il calendario elettorale: le elezioni presidenziali del novembre 2012 suggeriscono ai repubblicani una politica del «tanto peggio tanto meglio». Sperano che un disastro economico affondi le speranze di rielezione di Obama. Lui stesso non sembra escluderlo: «Questa crisi può segnare la fine della mia presidenza». Se fosse solo questione di cifre, l’accordo tra democratici e repubblicani non sarebbe difficile: stiamo parlando di tagli fra 2.000 e 4.000 miliardi ripartiti fra nuove tasse e riduzioni di spesa, ma spalmati su molti anni a venire. Una manovra di lacrime e sangue, certo, però le spalle robuste dell’economia americana potrebbero reggerla. L’ostacolo vero è l’ideologia: la destra non accetta un solo centesimo di tasse in più, neanche sui miliardari o sugli hedge fund, in nome di un liberismo estremo. Perfino il banchiere centrale, Ben Bemanke, ormai evoca una «calamità finanziaria immensa». Moody’s ne trae le conseguenze, tratta gli Stati Uniti come un’italia qualsiasi, annuncia «crescenti possibilità» che l’accordo non sia raggiunto il 12 agosto e che questo si traduca in un declassamento del rating. Uno dei blog più autorevoli sui mercati finanziari, Etoro, si chiedeva pochi giorni fa: «L’euro potrebbe sopravvivere a un default della Grecia, forse anche del Portogallo, ma dell’Italia?». Ora quell’interrogativo si declina a un multiplo di potenza: dollaro, Borse, banche, chi mai potrebbe sopravvivere a un default americano? Un guizzo di buonsenso dell’ultima ora tra i politici di Washington, o una trovata d’ingegneria giuridico finanziaria, devono poter fermare il treno che corre a velocità folle verso la collisione. La tempistica non potrebbe essere più infelice: con i mercati già in fibrillazione isterica per le convulsioni dell’eurozona, la tempesta perfetta è vicina.


Comunicato stampa della Conferenza provinciale delle donne del PD

 

SPARITI I QUATTRO MILIARDI PER IL SOCIALE E LA CONCILIAZIONE 




La manovra finanziaria varata dal governo colpisce, come ormai d’abitudine per questa legislatura, i  soggetti più deboli: pensionati, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi a basso reddito e precari. Tra questi, noi donne siamo particolarmente prese di mira: perché abbiamo le pensioni e i salari più bassi, perché siamo per la maggior parte precarie, spesso lavoratrici in nero e a maggior rischio di licenziamento, perché abbiamo il doppio lavoro, quello salariato, quello domestico e/o di cura.

Ma tutto questo non basta, la manovra si accanisce ulteriormente e con ferocia proprio su di noi: spariscono  i quattro miliardi risparmiati con il prolungamento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne del pubblico impiego.

I quattro miliardi dovevano servire per la conciliazione, per favorire ed incentivare il nostro lavoro, attraverso il potenziamento degli asili nido, le scuole materne, i servizi per gli anziani e disabili. Si trattava insomma di accrescere tutto ciò che può aiutare la donna che lavora  e che era stato  promesso “in cambio” della parificazione dell’età pensionabile tra i generi.
Tra l’altro era una discutibile forma di compromesso: si toglieva a noi donne, parificando l’età pensionabile a quella degli uomini, ridando in cambio qualcosa, come se la gestione della prole piuttosto che degli anziani durante l’orario di lavoro spettasse solo ed esclusivamente al genere femminile, senza coinvolgere chi è  padre, marito e figlio.

La notizia straordinaria è che i quattro miliardi sono spariti, la conciliazione un pio desiderio.
I servizi per la famiglia -  esaltata a parole come nucleo centrale della società e bellamente ignorata nei fatti -  sono ancora a carico dei singoli. Pure un ministero è stato dedicato alla famiglia, ma continua ad essere colto in tutta la sua inutilità, perché lasciato senza portafoglio!
Il messaggio è chiaro: donne, il lavoro, l’autonomia, l’indipendenza non fanno per voi, andate a casa, siete voi il welfare, siete voi i servizi, siete “donne di servizio”.

Questa è la ricetta che ci propina questo governo, a cui non basta aver annichilito la scuola pubblica, aver quasi strangolato gli enti locali, aver sottratto risorse con mancati investimenti e una politica di sviluppo inesistente. Oggi questo governo interviene direttamente su ciò che è nostro, i soldi risparmiati sulla nostra pelle: quelli che non sono pagati come pensioni e che dovevano ritornare sotto forma di servizi.

Come Conferenza delle donne  PD ci opponiamo a questa politica ingiusta e punitiva che accentua le disuguaglianze, anche tra i sessi, che punisce i ceti deboli e noi in particolare, che ignora la parola sviluppo, occupazione e redistribuzione. E' una politica che calpesta il futuro, che tira a campare mentre il paese rischia di tirare le cuoia.
Il nostro lavoro, lo aveva affermato e posto come obiettivo il Trattato di Lisbona già nel 2009, aumenta la ricchezza del paese e, laddove ci sono lavoro e servizi per le donne, aumenta anche il numero dei figli, come dimostra la realtà dei paesi europei più avanzati.
Noi donne abbiamo capito che una società che non ci valorizza è destinata al declino e a questo ci  opponiamo: abbiamo cominciato il 13 febbraio a chiedere un cambiamento, lo abbiamo ribadito lo scorso 8 e 9 luglio a Siena e   continueremo a farci portatrici di un messaggio chiaro e lucido affinchè questo cambiamento si realizzi. C’è un vento nuovo, iniziato con le elezioni e con i risultati dei referendum, che  vogliamo far diventare realtà per noi e per tutti.



Conferenza Permanente delle donne Democratiche di Reggio Emilia