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mercoledì 4 dicembre 2013

8 DICEMBRE PRIMARIE PD


 










Si vota per eleggereIl Segretario nazionale del Partito Democratico e gli 11 rappresentanti reggiani nell’Assemblea nazione del PD.


Chi può votare
Possono votare i cittadini italiani, i cittadini dell’Unione europea residenti in Italia, i cittadini di altri Paesi in possesso di regolare carta o permesso di soggiorno o documento equiparato.
L’età minima per votare è 16 anni.

Gli studenti universitari e i lavoratori fuorisede possono votare nella città dove studiano e/o lavorano, iscrivendosi on-line (www.primariepd2013.it) oppure alla sede provinciale del PD (via Gandhi 22 - Reggio Emilia - organizzazione@pdreggioemilia.it)entro le ore 12 di venerdì 6 dicembre 2013.

I cittadini affetti da infermità fisiche tali che ne impediscano la possibilità di recarsi al seggio, possono far richiesta del voto a domicilio entro le ore 12 di venerdì 6 dicembre 2013 rivolgendosi o al proprio Circolo PD o direttamente all’Unione provinciale (0522-237911).

I cittadini che prevedono di trovarsi fuori dalla provincia di Reggio Emilia l’8 di dicembre, debbono effettuare la registrazione on-line (www.primariepd2013.it) entro le ore 12 di venerdì 6 dicembre 2013 o contattando direttamente l’Unione provinciale PD (0522-237911).

Come si vota
Domenica 8 dicembre si vota dalle ore 8 alle ore 20.00
Per votare occorre presentarsi al seggio con un documento d’identità. Per votare occorre dichiarare di essere elettori del Partito Democratico, accettare la registrazione nell’Albo degli elettori del PD e versare almeno 2 euro. Ogni elettore riceve la scheda di voto per il Segretario e l’Assemblea Nazionale. Barra sulla scheda il nome della lista del candidato a Segretario Nazionale del PD che intendi sostenere.

Dove si vota
I seggi allestiti in tutta la provincia sono 94. Nel link sottostante puoi trovare l'ubicazione del tuo seggio alle Primarie in base al numero della sezione elettorale nella quale voti alle elezioni politiche (riportato sulla tessera elettorale).
CERCA IL TUO SEGGIO


http://www.partitodemocratico.re.it/index.html?idpg=7&id=2615



VIOLENZA SULLE DONNE. ANCORA TANTA STRADA DA FARE

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, venerdì 29 novembre la Conferenza Permanente delle donne ha promosso un incontro che ha visto la partecipazione e gli interventi delle parlamentari Pd Antonella Incerti, Leana Pignedoli e Vanna Iori ma anche dei colleghi Maino Marchi e Paolo Gandolfi nonchè della consigliera regionale Roberta Mori, di Maria Stella D’Andrea e del segretario provinciale Andrea Costa.

L’incontro condotto da Claudia Aguzzoli al centro sociale Buco Magico è stato un passaggio importante per fare il punto sui tanti aspetti che caratterizzano questo fenomeno molto esteso e ancora sottostimato. L’impegno del Pd sulla lotta alla violenza di genere è un punto fermo del partito.

Tante le iniziative di sensibilizzazione realizzate, ma soprattutto la promozione di norme tese a offrire strumenti nuovi per combattere la violenza e a garantire concretamente le pari opportunità. Nello scorso mese di ottobre è stato convertito in Legge il cosiddetto “Decreto contro il femminicidio” che segna un passo importante nella definizione di una normativa specifica, percorso che sta compiendo anche la Regione Emilia Romagna attraverso una Legge quadro sulle pari opportunità. “Crediamo – dicono le Democratiche – sia molto importante in questa fase avere un quadro chiaro della normativa in essere, dei relativi punti di forza e criticità, nonché dei passaggi e delle azioni che è necessario compiere nelle istituzioni e nella società civile per
la lotta alla violenza sulle donne. E crediamo fermamente che in tutto ciò debbano essere coinvolti a pieno titolo anche gli uomini”.
“La violenza – ha detto Vanna Iori nel corso del suo intervento – viene da lontano nella storia delle donne, ma è stata spesso taciuta per vergogna o paura. Oggi possiamo dire che il clima culturale sta cambiando, anche grazie al Decreto 93/2013, poi trasformato in Legge, che è al contempo espressione di questo cambiamento e stimolo per proseguirlo.
Le donne del PD si sono molto impegnate per il raggiungimento di questo primo obiettivo, ed è spiaciuto moto il mancato voto di SEL. Naturalmente questo Decreto è solo un primo passo a cui ne vanno aggiunti altri”. Per Antonella Incerti “la ratifica della convenzione di Istanbul non è solo un gesto politico, ma implica obblighi precisi e impegna il Governo e il Parlamento ad implementare ogni azione volta a ristabilire l’uguaglianza e ad eliminare gli ostacoli alle pari opportunità. Il decreto è un primo passo importante perché ora le donne sono più protette.
Bisogna rilevare che spesso la base della violenza è nella relazione affettiva che si sviluppa tra le mura domestiche ed esula dalla relazione giuridica. Questo decreto quindi non è sufficiente. Oggi le donne sono più sicure, ma manca una legge quadro nazionale che tenga insieme molti più elementi. Ora per esempio ci si sta occupando del fenomeno delle dimissioni in bianco, che interessano quasi 1 milioni di donne”. Le fa eco la consigliera Roberta Mori: “l’iniziativa di oggi è un’occasione importante che segna una presa di responsabilità forte da parte del nuovo segretario. Quella delle politiche di genere diventa così una priorità politica e quindi istituzionale per gli enti dove siamo forza di governo”.
Forte la presenza maschile all’incontro. Elemento necessario per attuare quel cambiamento culturale di cui si sente il bisogno. “A livello regionale – conclude Mori – si sta lavorando ad una legge quadro per la parità che prevede diversi strumenti. Il Decreto è solo l’inizio; esso prevede un piano nazionale con azioni trasversali e più incisive”.
Maino Marchi ha rassicurato rispetto al fatto che “su questo decreto come sulla convenzione di Istanbul l’impegno del gruppo parlamentare PD è stato concreto, anche nelle commissioni che vedono una minore presenza femminile come la commissione bilancio della Camera”. E Leana Pignedoli ha voluto sottolineare come, “Trattandosi di un problema culturale, va affrontato da più punti di vista, ora per esempio iniziamo a parlare anche dei maltrattanti. Si tratta di un PD che vuole una società diversa. Da qui all’8 marzo – ha detto Pignedoli – proviamo a cambiare visione e approccio e cerchiamo di organizzare iniziative con gli amministratori per mettere insieme gli obiettivi del partito su queste questioni. Apriamo un tavolo con i centri perché il percorso sarà lungo e complesso”.
Maria Stella D’andrea, della Conferenza permanente delle donne, si è soffermata anche sugli aspetti che coinvolgono la Sanità. D’andrea ha spiegato che “Gli operatori hanno fatto fatica ad accettare questa legge. Fino al 31.10 le donne uccise in Emilia Romagna nel 2013 sono 10 e per altre 10 si parla di tentato omicidio. Gli accessi al Pronto Soccorso a Reggio Emilia per donne che hanno subito violenza sono moltissimi e le donne che accedono pongono innanzitutto il tema di curare il proprio compagno. Dobbiamo finanziare i centri antiviolenza. Chi forma il personale che si occupa di queste persone? In Italia non esiste una specializzazione universitaria in tal senso. Abbiamo solo 1 centro a livello nazionale che si occupa dei maltrattanti, si trova a Modena ma siccome hanno troppe richieste non accettano inserimenti da fuori provincia.
All’iniziativa è intervenuta anche la Silvia Iotti dell’associazione Nondasola che ha spiegato come le donne vittime di violenza diano alle associazioni e ai centri antiviolenza un patrimonio di conoscenza che non può essere ignorato da chi costruisce le politiche. La legge ha un forte valore simbolico, ma presenta limiti obiettivi. Pratica d’aiuto e visione politica non possono essere divise nella costruzione di strumenti ad hoc”.
Le conclusioni sono state affidate al segretario provinciale Andrea Costa. “Non stiamo parlando delle donne, ma di come si costruisce una società migliore per tutti. Ad oggi – ha detto il segretario – il PD ha una rappresentanza straordinaria nel mondo delle stituzioni. Questo decreto, che pure ha i limiti che abbiamo condiviso, ha finora consentito di salvare 51 donne. C’è sicuramente molto altro da fare, innanzitutto sul piano culturale. In previsione delle elezioni amministrative del 2014, è necessario definire politiche trasversali
che accomunino tutte le liste PD anche rispetto a queste tematiche”.

venerdì 29 novembre 2013

Le Primarie del PD entrano nel vivo con il confronto Tv tra i candidati alla Segreteria del partito: Gianni CuperloMatteo Renzi e Giuseppe Civat. Oggi alle ore 21, su Sky Tg24 HD (canali 100 e 500 e in simulcast su Cielo), 

sabato 23 novembre 2013

IL PD CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

Carissimi,

il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
La stampa ci restituisce quotidianamente, anche a livello locale, un quadro drammatico rispetto a questo tema, che coinvolge tutti senza distinzioni di razza, provenienza geografica, religione o ceto sociale.

Il Partito Democratico è fortemente impegnato nella lotta alla violenza non solo attraverso la realizzazione di iniziative di sensibilizzazione, ma soprattutto con la promozione di norme tese a offrire strumenti nuovi per combattere la violenza e a garantire concretamente le pari opportunità.

Il 15 ottobre è stato convertito in Legge il cosiddetto “Decreto contro il femminicidio” che segna un passo importante nella di definizione di una normativa specifica, percorso che sta compiendo anche la Regione Emilia Romagna attraverso una Legge quadro sulle pari opportunità.

Crediamo sia molto importante in questa fase avere un quadro chiaro della normativa in essere, dei relativi punti di forza e criticità, nonché dei passaggi e delle azioni che è necessario compiere nelle istituzioni e nella società civile per la lotta alla violenza sulle donne. E crediamo fermamente che in tutto ciò debbano essere coinvolti a pieno titolo anche gli uomini.

L’Unione Provinciale del PD e la Conferenza permanente delle donne democratiche vi invitano caldamente a partecipare all’iniziativa “IL PD CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE”, che si terrà venerdì 29 novembre, alle ore 17.00 presso il centro sociale Buco Magico di Reggio Emilia. In allegato trovate il programma dettagliato.

Vi aspettiamo numerosi, perché il percorso di civiltà per il “NO” alla violenza su delle donne va fatto insieme.



Il Segretario prov.le PD
Andrea Costa




La Conferenza Permanente
delle Donne Democratiche
di Reggio Emilia



martedì 3 settembre 2013

La prima ragione di decadenza.

L'ineluttabile decadenza 

di Luigi Ferrajoli

Il dibattito sulla decadenza da parlamentare di Silvio Berlusconi sta diventando sempre più penoso. All’analfabetismo istituzionale della destra si sono infatti aggiunte le opinioni di giuristi e commentatori anche di sinistra i quali, di fronte al ricatto di far cadere il governo, hanno sollevato dubbi stranissimi sulle ragioni della decadenza. Queste ragioni sono ben due, tra loro distinte e assolutamente chiare: l’inidoneità a ricoprire la carica di parlamentare per almeno sei anni, stabilita dalla legge Severino del 31.12.2012, e la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici comminata con la condanna per frode fiscale divenuta definitiva dopo la pronuncia della Cassazione.

martedì 20 agosto 2013

la Grazia non è una larga intesa ma.....


Chiedere la Grazia è ammettere la colpa / DA UNTO DEL SIGNORE A MIRACOLATO DI NAPOLITANO?


Da unto del Signore a miracolato di Napolitano? L’istinto gli dice che chiedere la grazia non sarebbe umiltà, ma umiliazione. La furbizia invece gliela suggerisce come ultima spiaggia. .............continua a leggere :   http://www.francescomerlo.it/?p=1396

venerdì 9 agosto 2013

È da quel vuoto, da quel che c’è nella testa di chi si volta dall’altra parte, che si deve partire.


di Concita De Gregorio
in “la Repubblica” del 9 agosto 2013
Inasprire le pene non basta, naturalmente, e forse non serve. Le buone leggi non sono quelle che nascono dalle pessime abitudini e tentano di sanarle, condonarle, depenalizzarle, regolarle e infine punire, sì, chi davvero esagera.
Di quelle siamo pieni. Le buone leggi sono quelle che provano a indicare una rotta, e la tracciano. Sono quelle che tentano di definire il perimetro di ciò che la cultura civile deve (dovrebbe) ritenere giusto e lecito e non nascono allo scopo di contenere il danno dei comportamenti diffusi, illeciti o criminali, ma hanno l’ambizione di cambiare le regole della convivenza nella testa e nel cuore dei cittadini prima che nelle aule di tribunale. In questo caso inasprire la pena è eventualmente un segnale, appena un inizio. Forse un deterrente, in qualche raro caso, ma non basta e non serve. È piuttosto difficile difatti immaginare che chi massacra di botte una donna sia dissuaso dal farlo dalla consapevolezza, ammesso che ce l’abbia, che rischia cinque o dieci anni in più di galera. Non è l’ergastolo eventuale a fermare la mano di chi fa a pezzi la moglie e la seppellisce in giardino, né l’eventualità di un arresto può cambiare l’atteggiamento di chi picchia abitualmente la donna con cui vive, e se ci sono i figli ad assistere pazienza, anzi meglio così imparano subito come va il
mondo. È semmai, caso per caso, l’educazione che quell’uomo ha ricevuto in famiglia e a scuola, le parole e i gesti che ha visto e sentito per decenni tutto attorno a sé, da suo padre e sua madre, nella vita e in televisione, è lo sguardo degli altri sul suo. Lo sguardo degli altri: se sia indulgente, indifferente o feroce. La disapprovazione sociale, il disprezzo di chi ti sta intorno: questo sì, forse, può fermarti.
In questo senso la parte più interessante del decreto che vuole combattere la violenza sulle donne – violenza che dilaga da anni dietro una soglia di vigilanza laschissima, un generale compatimento compiaciuto – non è la prima, pene più severe, ma la seconda e la meno nitida, quella che parla del “pacchetto di provvedimenti di prevenzione”. Certo. È più difficile e ci vuole più tempo. Eppure non c’è altro modo che non sia quello di cominciare dalle scuole, dall’educazione in classe, dal non consentire alle femmine quello che è consentito ai maschi, dalla formazione di personale che sappia parlare ai più piccoli perché sono i bambini quelli che tornano a casa e insegnano severi agli adulti: questo non si fa. Dal rifinanziamento dei centri antiviolenza, in via di scomparsa. Dall’evitare, quando vai a denunciare che il tuo ex ti perseguita o che il tuo compagno ti riempie di botte, che non ci sia solo, come spesso accade, qualcuno al commissariato che ti dice “Signora, torni a casa”. Ci vogliono molti soldi, per fare tutto questo, ma prima ancora ci vuole la consapevolezza che si tratta di una priorità assoluta: culturale, non giudiziaria.
Perché poi le regole, quando sono da sole a combattere la loro guerra, sembrano ingiuste anche quando sono giuste. Dire che la pena sarà di un terzo più severa nel caso in cui le vittime siano incinte o mogli o compagne o fidanzate del carnefice è comprensibile, dal punto di vista del legislatore, perché sì che battere una donna che aspetta un bambino o che ha un vincolo di fiducia con chi la aggredisce è più grave. Ma stabilisce anche una discriminazione culturalmente delicatissima verso le donne che non fanno figli e non hanno legami con un uomo. In che senso uccidere una donna non sposata e non madre è meno grave? Vale forse di meno per la società?
Infine. Che la querela non sia ritirabile è decisione ottima, giacché chi è vittima di violenza è anche in genere vittima di intimidazione. Tuttavia nella grande maggioranza dei casi le donne offese non sono in condizione di denunciare. Perché non sanno, non possono, a volte perché non vogliono. Ciò che emerge alle cronache è una parte minima di ciò che accade. Ci sono dunque casi in cui si dovrebbe poter procedere d’ufficio. Non lasciare sole le donne che subiscono violenza significa anche alleggerirle dal peso di una scelta a volte tremenda, in specie se ci sono figli piccoli o se la donna dipende economicamente dall’uomo. Andare a controllare, verificare, assisterla anche se non è lei a chiederlo.
Trattare poi le minacce verbali, quando avvengono per scritto su Internet attraverso i social media, alla stregua dei vecchi biglietti sotto la porta o delle scritte sul finestrino della macchina,è semplicemente prendere atto del fatto che esistono forme di comunicazione ormai non più così nuove, adeguarsi a una realtà evidente e prenderla finalmente in considerazione.
È una buona notizia, che questo decreto ci sia. Che Josefa Idem l’abbia voluto come primo atto del suo breve mandato, sarebbe stata un buon ministro e lo sa bene Enrico Letta che dopo averla invitata a dimettersi con intransigenza fortemente diseguale ieri l’ha pubblicamente ringraziata. È una buona notizia che tenga conto della convenzione di Istanbul ratificata poche settimane fa in un’aula parlamentare deserta. Quell’aula era deserta, però. Come se questi fossero atti dovuti che non cambiano le cose, non interessano nessuno. È da quel vuoto, da quel che c’è nella testa di chi si volta dall’altra parte, che si deve partire.

mercoledì 24 luglio 2013

OLTRE 11MILA FIRME PER DIRE NO ALLA VIOLENZA

                                                                               

Comunicato stampa


Le firme, raccolte dalla Conferenza delle Donne PD dell'Emilia-Romagna per la promozione di una legge di iniziativa popolare contro la violenza di genere, sono state consegnate alla Presidente dell'Assemblea Legislativa Palma Costi

Nella prima metà del 2013 sono stati commessi 67 femminicidi in Italia, tra questi 5 in Emilia-Romagna. La violenza degli uomini contro le donne è, nel mondo, la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni. Per contribuire a fermare questa strage, le Donne Democratiche dell’Emilia-Romagna hanno raccolto 11.440 firme - più del doppio di quanto richiesto e in appena tre mesi - su una proposta di legge di iniziativa popolare “per la creazione della rete regionale contro la violenza di genere e per la promozione della cultura dell’inviolabilità, del rispetto e della libertà delle donne”.
Venerdì scorso a Bologna le delegate provenienti da tutta la regione e guidate dalla coordinatrice Lucia Bongarzone, hanno consegnato le firme alla presidente dell'Assemblea Legislativa Palma Costi, mettendo così in moto l'iter istituzionale necessario per la discussione del testo. La cerimonia è stata preceduta da un flash mob coreografico nell'adiacente piazza Renzo Imbeni, per dire “Basta violenza!”.

Hanno partecipato all’incontro diversi consiglieri regionali PD, tra cui il segretario regionale Stefano Bonaccini e la consigliera reggiana, presidente della Commissione per la Parità, Roberta Mori. “La nostra presenza oggi rappresenta una piena assunzione politica e istituzionale del tema della violenza, inserito nella battaglia culturale e legislativa per la parità dei diritti che stiamo portando avanti in Regione con i lavori della Commissione – ha dichiarato la presidente Mori - A quello delle associazioni e dei centri antiviolenza si aggiunge ora il contributo delle Donne Democratiche con la loro iniziativa popolare, a stimolare ulteriormente e arricchire di contenuti la nostra proposta di legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere, che sarà in Aula in autunno.”

Le firme sono state raccolte grazie all'impegno delle Conferenze delle Donne Democratiche territoriali, che in tutta la regione hanno organizzato banchetti, volantinaggi, punti informativi. Solo nella città di Reggio Emilia e provincia sono state raccolte 1907 firme. I consigli comunali di Modena, Reggio Emilia, Rimini, Ravenna e quelli provinciali di Reggio Emilia e Rimini, hanno approvato il testo della proposta di legge. Atti politici e istituzionali importanti, perché la violenza di genere, non soltanto fisica ma anche psicologica, economica, sessuale, rappresenta una piaga che dobbiamo combattere, tutti insieme, uomini e donne.


Reggio Emilia, 22 luglio 2013



venerdì 12 luglio 2013

L’umiltà costituzionale

L’umiltà costituzionale

12 luglio 2013 -
Walter Tocci



Signor presidente, colleghi senatori, se dovessi risultare sgradevole sappiate che non è mia intenzione. Vorrei ribaltare un famoso incipit dicendo che tutto fuorché la cortesia mi porta contro questa proposta di legge. Il mio dissenso comincia nel titolo, si alimenta nel testo e diventa totale sull’idea stessa di toccare la Costituzione. Per rispetto del mio partito non voto contro, ma nel rispetto dell’articolo 67 della Costituzione non posso votare a favore. D’altronde c’è già troppo unanimismo: si diffondono luoghi comuni che suonano veri solo perché vengono ripetuti con sicumera dall’inizio del dibattito trent’anni fa. Alcuni giovani parlamentari andavano ancora all’asilo, il mondo è cambiato, ma l’agenda è rimasta sempre la stessa. L’entusiasmo iniziale delle Bicamerali si è tramutato in una vera ossessione a modificare le istituzioni, una malattia solo italiana che non trova paragoni in nessun altro paese occidentale. È difficile credere che la nostra Carta sia tanto più difettosa delle altre da meritare questo accanimento terapeutico. È più probabile che il malanno dipenda dagli improbabili costituenti. Siamo chiamati a dichiarare che la revisione della Costituzione è oggi una suprema esigenza nazionale.
Mi chiedo, perché? Per cosa? E in nome di chi?
Il perché riguarda il tema della decisione. Si ricorre all’ingegneria istituzionale per obbligare il politico a fare ciò che non gli riesce spontaneamente. Si riprende a sfogliare l’atlante politologico alla ricerca del modello – francese, tedesco, spagnolo, americano e perfino australiano – che dovrebbe essere capace di redimere la politica. Questo cadornismo applicato al sistema politico-istituzionale ha sempre fallito: il bipolarismo doveva eliminare la corruzione, il federalismo doveva promuovere lo sviluppo locale, il maggioritario doveva garantire la stabilità e via di questo passo. Per dirla con Don Abbondio, chi non ha la volontà politica non se la può dare con gli artifici istituzionali. Eppure questa illusione è dura a morire. Ha sostenuto strategie politiche, animato talk show, ha creato perfino un nuovo ordine professionale degli ingegneri istituzionali – costituito dai parlamentari esperti del tema, ai quali va comunque la mia stima personale, dai giuristi che ne hanno fatto una carriera accademica e dagli editorialisti che ne hanno fatto una fortuna mediatica. L’ordine degli ingegneri si pone solo domande tecniche, evitando i problemi che potrebbero mettere in discussione la sua esistenza.
Il dato saliente del trentennio è la crisi dei partiti. La causa politica dell’ingovernabilità è stata però trasferita in capo alle istituzioni: “se non si decide, non è colpa mia ma dello Stato che non funziona”. Questo è il motto del politico, a tutti i livelli, dal governo nazionale fino all’ultimo dei municipi. Ma lo sviamento non è stato innocuo. È servito come alibi alla politica per non affrontare i suoi problemi, che nel frattempo si sono aggravati. Le istituzioni sono state stravolte per finalità strumentali invece di essere curate nella loro essenza. La promessa era di riformare lo Stato per migliorare i partiti, ma sono peggiorati entrambi; mai erano precipitati tanto in basso nella stima dei cittadini. È tempo di fare sobriamente la nostra parte lasciando in pace le istituzioni. L’unica riforma veramente necessaria è cambiare i nostri partiti per renderli adeguati a governare il futuro Paese.
La domanda sul cosa si è ridotta a un mantra: il mondo cambia e bisogna decidere in fretta. Ma in quest’aula sappiamo bene che le leggi più brutte sono proprio quelle più frettolose: il Porcellum fu approvato in poche settimane; le leggi ad personam di gran carriera; diversi decreti di Monti, dai contratti di lavoro fino all’eliminazione delle province, furono approvati tra lo squillar di trombe e si ritrovano oggi smontati dal governo Letta. Il decisionismo senza idee ha prodotto un’alluvione normativa che soffoca l’economia e la vita quotidiana dei cittadini. Ce la prendiamo con la burocrazia come se fosse un destino cinico e baro, ma essa dipende dalle troppe leggi che approviamo qui. Aveva ragione Luigi Einaudi a fare l’elogio della lentezza parlamentare come antidoto all’ipertrofia normativa.
Non è la velocità, ma la qualità che manca al procedimento legislativo. La causa è nello strapotere dei governi che da tanti anni impongono a colpi di fiducia le leggi omnibus, con centinaia di commi disorganici, improvvisati, spesso modificati prima di essere applicati. Questa peste normativa distrugge l’Amministrazione dello Stato, fa nascere i contenziosi, le interpretazioni fantasiose e la paralisi attuativa. Bisognerebbe restituire al Parlamento la piena sovranità legislativa, ma questa autoriforma dovremmo farla noi, cari colleghi, senza delegarla all’ordine professionale degli ingegneri istituzionali. Dovremmo attuarla con l’orgoglio di parlamentari: poche leggi l’anno, in forma di Codici unitari, delegando funzioni al governo e aumentando i poteri di controllo; stabilire che non si legiferi senza prima valutare i risultati delle leggi precedenti; dare alle commissioni parlamentari poteri effettivi di inchiesta – un dirigente di Finmeccanica, quando viene chiamato in Senato, dovrebbe temere la graticola come un dirigente di strutture federali chiamato a render conto di fronte al Congresso americano.
Sulla terza domanda, in nome di chi, si risponde di solito appellandosi all’interesse nazionale. Eppure ogni volta che abbiamo modificato la Costituzione ce ne siamo poi dovuti pentire: il Titolo Quinto ha creato conflitti permanenti tra Stato e Regioni; dopo lo ius sanguinis del voto all’estero oggi si passa a invocare lo ius soli per i figli degli immigrati; prima si blocca il pareggio di bilancio e poi si esulta per la deroga concessa dall’Europa.
D’altro canto, basta leggere il testo per notare la discontinuità. La bella lingua italiana, con le parole semplici e intense dei padri costituenti, viene improvvisamente interrotta da un lessico nevrotico e tecnicistico, scandito dai rinvii a commi, come in un regolamento di condominio. Sono queste le parti aggiunte da noi.
Fortunatamente i cittadini hanno evitato i guai peggiori bocciando la legge costituzionale ideata dagli stessi autori del Porcellum. L’unico baluardo lo abbiamo trovati nei presidenti di garanzia come Scalfaro, Ciampi e Napolitano. Mi sconcerta la leggerezza con la quale si ritiene possibile demolire questo ultimo bastione. In Italia la personalizzazione si è sempre presentata come patologia, mai come responsabilità della leadership. Non scherziamo col fuoco. Il presidenzialismo non sarebbe un emendamento, ma un’altra Costituzione.
Dovremmo avere un senso del limite. I nostri partiti rappresentano oggi a malapena la metà del corpo elettorale. L’altra metà ha manifestato in tutti i modi il suo disagio e la sua sfiducia. Non è saggio usare la revisione costituzionale per santificare un governo privo del mandato elettorale. Questo è il vulnus che segna la modifica del 138. Il procedimento lega la sorte del governo ai tempi e ai modi della revisione costituzionale. Porre un vincolo di maggioranza come inizio e come fine della riforma è una forzatura politico-costituzionale senza precedenti in Italia e in Europa. I governi passano e le costituzioni rimangono – non dimentichiamolo.
La nostra, la mia generazione ha dimostrato abbondantemente l’inadeguatezza al compito costituente. Che possa adempierlo oggi, al minimo storico del consenso elettorale, è un ardimento senza responsabilità, è una dismisura contro la saggezza costituzionale. Lasciamo alle generazioni successive il compito di rielaborare l’eredità ricevuta dai padri costituenti. Non tutte le generazioni hanno l’autorevolezza per cambiare le Costituzione.
Dovremmo prenderne atto con l’umiltà che dovrebbe sempre accompagnare l’esercizio del potere. Quell’umiltà che è oggi il miglior contributo che possiamo portare alla Carta Costituzionale.

lunedì 28 gennaio 2013

Fuori dall'Europa di Gad Lerner


di Gad Lerner
in “la Repubblica” del 28 gennaio 2013
Cosa aspetta il Ppe a liberarsi di questo impenitente ammiratore di Mussolini? Cos'altro manca per riconoscere che non è solo ignoranza storica se Berlusconi ha profanato col suo delirio revisionista la cerimonia milanese in ricordo della Shoah, prima di appisolarsi soddisfatto?
L’uomo che vent’anni fa sdoganò, con abile calcolo politico, il neofascismo italiano, ancor oggi alla presidenza della Regione Lazio ricandida quel Francesco Storace di cui ricordiamo le maledizioni contro Gianfranco Fini, colpevole di aver reso omaggio in Israele al memoriale degli ebrei sterminati dal nazifascismo. Mentre in Lombardia vorrebbe cedere il comando al segretario di un partito xenofobo e antieuropeo, Roberto Maroni, che da ministro dispose la raccolta delle impronte digitali dei bambini rom.

Prima di liquidarla come ennesima gaffe (con solita smentita), conviene ascoltarla e riascoltarla testualmente la dichiarazione rilasciata ieri di fianco al binario 21 da cui partirono verso Auschwitz i trenimerci dei deportati. Rivelatore è l’impulso di Berlusconi a comprendere le motivazioni del regime fascista: «È difficile adesso mettersi nei panni di chi decise allora…». Ancor più netta è l’identificazione con «un leader, Mussolini, che per tanti altri versi aveva fatto bene». D’accordo, c’è il delirio personalistico di un uomo che si ricandida per la sesta volta consecutiva a capo dell’Italia, immedesimandosi nel mito del Ventennio. Ma proprio per questo Berlusconi avverte la necessità di addomesticare la storia. Quasi che assolvendo quel Mussolini che, prima delle leggi razziali, «aveva fatto bene», gli venisse più facile chiedere poi agli italiani di chiudere un occhio anche sulle proprie, di malefatte.
Per questo ci vengono nuovamente propinate, sfregiando la Giornata della Memoria, le favole su una «connivenza non completamente consapevole» del fascismo nella persecuzione degli ebrei. Fino a pretendere indulgenza per il Duce che promulgò le leggi razziali e ordinò la deportazione nei campi di sterminio, cui sarebbero da addebitarsi «responsabilità assolutamente diverse» rispetto a quelle di Hitler. Provo un senso di vergogna a commentare simili affermazioni; pur sapendo che lo stereotipo degli “italiani brava gente” è duro a morire in un paese che per reticenza e pavidità culturale delle sue classi dirigenti (Chiesa compresa) non ha fatto con la dovuta severità i conti con le sue responsabilità storiche.
Ormai è dimostrato incontrovertibilmente che il regime fascista aveva sprigionato il suo antisemitismo già ben prima del 1938, l’anno delle leggi razziali. Così com’è risaputo che il nazionalsocialismo tedesco aveva tratto ispirazione dalla dittatura mussoliniana, di cui era un alleato naturale. Ma la destra di Berlusconi si nutre di questa teoria giustificazionista dei due tempi, secondo cui sarebbe esistito un fascismo buono, prima, e un fascismo cattivo poi. Non a caso gli manifestava benevolenza già dieci anni fa, quando doveva pur essere più lucido: «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Il Duce mandava la gente in vacanza al confino», affermava. Dimenticati in una sola boutade gli assassinii politici, i Tribunali speciali, la soppressione delle libertà democratiche che avevano preceduto le leggi razziali. Altro che «Mussolini per tanti altri versi aveva fatto bene».
Ma più ancora che il falso storico, colpisce il degrado morale rivelato da Berlusconi quando ci invita a comprendere la scelta di Mussolini alle prese con la forza di quell’alleato tedesco che pareva destinato a conquistare l’Europa intera. Ascoltiamolo di nuovo testualmente: «È difficile adesso mettersi nei panni di chi decise allora. Certamente il governo di allora, per il timore che la potenza tedesca si concretizzasse in una vittoria generale, preferì essere alleato alla Germania di Hitler piuttosto che contrapporsi. E dentro questa alleanza ci fu l’imposizione della lotta…» – qui Berlusconi esita un attimo sull’uso osceno della parola “lotta”, prima di aggiungere - «… e dello sterminio contro gli ebrei. Quindi il fatto delle leggi razziali è la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi aveva fatto bene».Dobbiamo ritenere che, date le circostanze, per necessità, per convenienza, anche lo “statista”
Berlusconi potrebbe subire simile “imposizione” da dittatori criminali contemporanei? Noi sappiamo bene che il Duce era razzista e antisemita in proprio, senza bisogno dell’incoraggiamento di Hitler. Ma a Berlusconi che vuole ignorarlo, e si sforza di entrare nei panni di Mussolini, dovremmo forse concedere una tale infame esitazione?